21 gennaio 1921-2021. Le lezioni della storia della Sinistra

“L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari” – Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, 11 marzo 1921, anno I, n. 70

La Sinistra Italiana è da sempre accompagnata da una certa satira legata alle sue diverse scissioni e sulle correnti. Forse la più iconica è quella di Guzzanti-Bertinotti sulla scomposizione molecolare per creare milioni di partitini che cambiano di continuo nome e forma per attaccare poi il nemico. E come in ogni stereotipo, un fondo di verità c’è.

Oggi sono 100 anni dalla scissione di Livorno, la scissione dei due teatri, la scissione della fedeltà a Lenin e dei 21 punti, dove dalle frange più a Sinistra della corrente massimalista del PSI nacque il PCd’I. Si arrivava da un periodo in cui le lotte dei lavoratori si facevano con rivolte e scioperi violenti – pur se non coordinati – che ordinariamente venivano repressi dal Regno d’Italia, alcune volte con la collaborazione dei primi nuclei di camicie nere. La via massimalista era considerata troppo blanda e per i comunisti di quei tempi si doveva scegliere una componente effettivamente rivoluzionaria, proprio come in Russia nel 1917.
Era un’altra epoca, un altro mondo, dove l’ideologia era più forte della ragione.

Per noi la politica è una missione di vita per la creazione di un mondo migliore, è l’ostinazione di immaginare una società e un’economia differente da quella che viviamo. Forse lo è in modo utopico, e in certi momenti la foga sopprime il senno, ma questo non significa che la ragione sia necessariamente la soluzione migliore in certe circostanze. Le rivoluzioni nascono proprio perché c’è qualcuno che ha pensato l’impossibile.

A Livorno ci si spaccò, e pure duramente. Quella fu la scelta più drammatica, soprattutto perché il contesto politico di allora era esplosivo, ma la ricchezza culturale e intellettuale che generò fu incredibile, tant’è che credo ne stiamo vivendo di rendita ancora oggi.

Il resto è storia, potremmo ricordare tutta una serie di peculiarità e di fatti storici come la divisione della sinistra in due partiti che hanno intrapreso percorsi differenti, le loro sconfitte elettorali, la fedeltà dei liberali italiani al fascismo, la marcia su Roma, la dittatura, le leggi razziali, le persecuzioni, la clandestinità dei dissidenti politici, le lettere dal carcere di Gramsci, la guerra devastante, l’evasione in motoscafo di Pertini, Turati, Ferruccio Parri e Carlo Rosselli in Corsica, la Resistenza partigiana, la nascita del Comitato di Liberazione Nazionale, le brigate partigiani che vedono unite diverse forze politiche e non solo, la Liberazione e molto altro.

Ritengo che fare speculazioni su dove ognuno di noi sarebbe stato in quei momenti sia inutile e anche infantile, perché banalmente il fervore di quegli anni non l’abbiamo mai vissuto direttamente, ma solo letto. Tutto va contestualizzato. Sicuramente l’influenza della Rivoluzione d’Ottobre e l’intervento diretto di Lenin con alcune lettere su “l’Avanti!” influenzò l’area degli ordinovisti, che si riunivano intorno al direttore Gramsci e a Togliatti, Di Vittorio, Dozza, Secchia, Terracini e molti altri. Nomi con un fascino ancora oggi, figuriamoci allora.

L’Italia è così: un unicum in tutto il mondo, soprattutto in politica. Basti pensare ai rapporti di forza tra PSI e PCI dopo la guerra. Di solito negli altri paesi occidentali questi rapporti erano pienamente invertiti e quindi per molti la Sinistra è solo la tradizione comunista, mentre dovremmo tenere tutti bene in mente che il PSI nacque nel 1892, ma i compagni italiani esistevano già da prima. Il primo a rappresentarci in una istituzione pubblica fu Andrea Costa nel 1882.
È un errore pensare di avere compagni figli di un dio minore, ed è sbagliato credersi eredi di un unico passato, peggio se si crede che quest’ultimo abbia avuto solo luci.

Ma veniamo a noi, nel 2021. Dopo 100 anni di Storia possiamo affermare che Gramsci aveva ragione: non abbiamo imparato la lezione.
Dalla Bolognina in poi non c’è stato un momento al di fuori del quale dei leader fragili abbiano portato alle elezioni partiti fragili. Attenzione: non carenti di grinta o di supporto tra la gente, ma di idee senza caratura tale da definirle ideologie, e questo lo abbiamo pagato con una continua subalternità al neoliberismo; tant’è che abbiamo proposto un capitalismo dal volto umano, illudendoci che esistesse, mentre dovevamo invece proporre un’alternativa.
Il più grande Partito della Sinistra italiana di oggi è stato frutto di una fusione in completa controtendenza, ma pur sempre fusione di pura nomenclatura che ha dimostrato i limiti di tale decisione. Nel PD le scissioni si sono susseguite fin da subito. Le ultime sono state le più sentite dalla base, perché due ex segretari sono usciti (con motivazioni diverse e in momenti differenti). Per il nostro popolo è stata una ferita ancora da rimarginare.

Questo, a mio avviso, ci deve insegnare due lezioni che abbiamo dimenticato per troppo tempo perché troppo affannati a sorreggere la responsabilità della guida del Paese. Molte volte il metodo fa sviluppare il contenuto ed egemonizza la società.
1) La Sinistra non può essere semplicemente quella forza di mediazione che rassicura e tranquillizza, perché questo porta a non voler innescare cambiamenti nella società e nell’economia laddove invece servono. Per troppo tempo ci siamo lasciati offuscare dall’ossessione del Governo, e ora ci siamo ammalati di governismo, ma noi non siamo per il mantenimento dello status quo. Noi nasciamo per volerlo ribaltare, perché ciò che vediamo non è conforme alla nostra idea di giustizia ed equità.
Questo comporta fare delle scelte di campo, incarnando il vero significato di Partito, cioè scegliere una parte, essere partigiani, essere portatori di idee e istanze che magari non rappresenteranno tutti, ma che contribuiranno a costruire un modello di società. Rivolgersi a una platea variegata senza distinguo ha innescato un distacco verso le categorie da cui nasciamo: i lavoratori, i più deboli e tutti coloro che sono nati in una condizione di subalternità verso la natura o la società e che non hanno la possibilità di pagare per affermarsi ed emergere.
Per citare Nenni: “Il socialismo è portare avanti tutti quelli che sono nati indietro”. Tracciamo quindi una linea precisa tra chi siamo e chi vogliamo rappresentare. Molti dirigenti del passato erano contadini, analfabeti ed operai che hanno trovato nella politica un motivo di riscatto sociale, di autodeterminazione e di istruzione; ma altri venivano da famiglie ricche, addirittura di estrazione aristocratica e, nonostante ciò, hanno fatto “una scelta di vita” nel rappresentare gli ultimi, come Giorgio Amendola che ha scritto l’omonimo libro, colonna portante dei riformisti comunisti italiani.

2) Le nostre idee non sono programmabili in una campagna social, in un anno, in una elezione o addirittura in una legislatura. Non siamo più abituati ai “pensieri lunghi” di berlingueriana memoria, a ragionare per generazioni o addirittura in secoli. Questo deriva forse dalla frenesia nel momento, dai media moderni e dagli eventi che precipitano nel giro di due giorni e da crisi inimmaginabili che si sedimentano nel giro di una settimana. Forse, e sicuramente è così, ma personalmente ritengo che l’individualismo si sia impossessato della Politica: ne deriva che le idee e i pensieri non sono più frutto di un ragionamento, ma appannaggio dei leader del momento, a loro volta ansiosi nel controllare il sondaggio serale e muoversi di conseguenza. Questo ci ha portato a vivere di situazionismo, rincorrere la notizia del giorno e, più che i politici, molti rappresentanti sembrano degli opinionisti, che addirittura parlano “in nome di …”, che di solito è un capo corrente.
I leader scompaiono nel giro di qualche anno mentre i partiti, in quanto contenitori, vanno in base a cicli politici. Ma le idee non possono svanire. Serve evolverle, serve contestualizzarle, ma prima di tutto serve studiarle, senza mai peccare di anacronismo.
La nostra classe dirigente molte volte non è formata, ma semplicemente frutto di un reclutamento sul territorio o nella società civile che però pecca di cultura politica, la quale non è mero tecnicismo o un banale vezzo. Questa lacuna difficilmente viene colmata, perché non vi sono momenti di riflessione o scuole di formazione. Insomma, l’assenza delle “Frattocchie” si nota.
Per questa politica frenetica fermarsi a riflettere è un difetto, ma la Politica con la P maiuscola, invece, si distingue proprio per questo: sa individuare il momento in cui è necessario fermarsi, guardarsi intorno e pensare.
La Politica non è per centometristi, ma per maratoneti, perché veniamo da lontano per andare ancora più lontano.

Detto questo, anche se ci sarebbe molto altro da dire – ma esistono libri vecchi e nuovi che parlano sicuramente meglio di me di queste vicende storiche e del nostro futuro – pongo solo un’altra riflessione: qual è la nostra ambizione?
Domanda semplice con risvolti pesanti e profondi, ma da cui deriva tutto. Se la risposta è “una società migliore, annullare le differenze sociali e di genere, la legalità e la solidarietà”, non serve altro che una struttura unica e seria per portare a compimento tutto ciò. Le idee ci sono, esistono e abitano nella testa di ogni persona a cui arde il petto se vede una ingiustizia. Manca una casa comune nel quale costruire questo progetto, dargli organizzazione e farla vivere tra la carne viva della società.
Se la meta è così importante, allora ognuno di noi singolarmente è meno importante della meta, ma solo insieme possiamo arrivarci. Molti là fuori aspettano questo, ma anche molti tra noi.

Turati il 21 gennaio 1921 ammoniva gli scissionisti perché prima o poi sarebbero dovuti tornare sui propri passi, almeno ideologici: “ripercorrerete completamente la nostra via, e dovrete farlo perché è la via del socialismo, che è il solo immortale, il solo nucleo vitale che rimane dopo queste nostre diatribe”.

È ora di dare un cambio di passo vero. Gli anni ’20 del secolo scorso sono stati pieni di errori: non commettiamoli nuovamente.

 

PS: In queste ore in cui sto redigendo il testo di questo articolo è arrivata la triste notizia della scomparsa del compagno Emanuele Macaluso. Un Faro per molti di noi, la cui scintilla dovrà essere conservata e alimentata nei prossimi anni per costruire il futuro che vorremmo. Vi lascio con le sue ultime parole, tratte dal suo profilo Facebook “EM.MA in corsivo” che esprimono perfettamente la conclusione del nostro operare: “Essere di sinistra ha avuto un senso perché ha migliorato la vita a milioni e milioni di persone. Ne è valsa la pena”.

Già, facciamo in modo che ne valga la pena, non per noi, ma per gli altri.