Scrivetelo in grande, tenetelo nei cuori: Yes We Can

La scommessa pareva difficile, persino impossibile. Eppure Obama giurava sulla vittoria di Joe Biden. Vittoria resa più luminosa da Kamala Harris al suo fianco. “This is Democracy’s day”, questo è il giorno della democrazia, le prime parole nei 46 imo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Per predire quell’esito, l’ex Presidente più amato in un’intervista aveva usato parole semplici. Le rivoluzioni – disse – le fanno i giovani e ora negli Stati Uniti le piazze sono piene di ragazze e ragazzi per i diritti umani, contro prevaricazioni e razzismo.

Quattro anni fa, all’inizio dello sciagurato mandato di Trump, i cortei di protesta furono animati dalle donne. Erano loro per prime a sentivano l’irrompere di un machismo complice di un potere autocratico e illiberale.

Qualche epigono lo avevamo in casa nostra e per contrastarlo siamo andate anche noi nelle piazze, da Verona a Milano, contro l’oscurantismo della destra. L’Occidente sembrava vivere alla rovescia, pareva destinato a sacrificare i principi stessi della sua storia e civiltà.

Oggi, invece, nel giorno del giuramento di Biden quel mappamondo ha ripreso almeno parte del suo ordine e questo peserà anche sull’Europa perché potrà essere più forte nel difendere la libertà in Bielorussia o per Patrick Zaky e Aleksej Navalny. Potrà battersi con più forza per la verità su Giulio Regeni. Potrà recuperare il tempo perduto per la revisione degli accordi di Dublino e per salvare le tante, troppe, vite ancora ostaggio di torture e sofferenze nei campi di concentramento libici.

Quanto a noi, chiusa una verifica complicata e senza fascino, siamo ora dinanzi alla prova del nostro “We Can”. Perché il governo va rafforzato politicamente e culturalmente. Perché va alzata l’asticella delle ambizioni. Perché non siamo nati per sopravvivere e tirare a campare. Perché la ricostruzione, termine bellissimo, è concretezza ma, insieme, è sempre anche idealità. Perché in questa tragedia della pandemia il risveglio è anche immaginare democrazia e partecipazione di domani. In un incontro promosso da Davide Ranalli, il giovane sindaco di Lugo, si è parlato del Patto per il lavoro e il clima voluto dalla Regione Emilia Romagna. Vincenzo Colla e Elly Schlein spiegavano che prima di tutto quel Patto è un metodo. Un metodo di condivisione, ascolto e protagonismo di associazioni, sindacati, movimenti. Direi quasi di delega a una partecipazione di donne e uomini, giovani, ragazze, senza la quale i governi non bastano a sé stessi.

Così il Next Generation EU diventerà per le persone una realtà capace di penetrare le loro speranze. Così quelle sigle – Recovery Plan, governance, Mes – potranno essere parole comprensibili da chiunque perché “comprensive” della vita vera, di scuola, salute, ambiente, lavoro. E del diritto a gridare che la parola “Pace” non implica solo l’assenza di guerra, ma un senso profondo di giustizia e uguaglianza perché il male da estirpare, ancora una volta, sono la miseria e le povertà di un mondo sfruttato e senza morale.

Lo so, le tensioni degli ultimi giorni rendono più faticoso il percorso e la coerenza che richiede. Ma è esattamente la consapevolezza di questa difficoltà a dover spingere noi, il Pd e il campo largo e civico della sinistra, a non accontentarci del potere così come è. E spingerci a dare valore alle costruttrici e ai costruttori oltre il perimetro delle istituzioni. Vuol dire fare l’impossibile perché quel “We Can” diventi possibile.