Il Myanmar ripiomba nel buio, la Comunità internazionale non lo lasci solo

Il Myanmar di nuovo nel caos. Ancora una volta il Myanmar torna sotto i militari con un colpo di Stato nella notte tra domenica e lunedì. Quella che prima è stata una voce ha presto trovato conferma in un comunicato emesso dalle Forze armate: tutti i poteri ora sono trasferiti al generale Min Aung Hlaing. La decisione è stata annunciata dall’Esercito poco dopo l’annuncio dello stato di emergenza per un anno e della presidenza ad interim affidata al generale Myint Swe.

Lo scopo risulta chiaro: soffocare la transizione democratica guidata da circa un decennio da Aung San Suu Kyi. Il premio Nobel per la pace nel 1991 e di fatto capo del Governo è stata arrestata dalla Forze armate. “Esorto la popolazione a non accettare il golpe, a rispondere e a protestare con tutto il cuore contro il colpo di stato dei militari” ha fatto sapere Suu Kyi in una dichiarazione diffusa dalla Lega Nazionale per la Democrazia.

È un Paese da sempre segnato dal peso e dalle ingerenze dei militari. Vero è che nella storia birmana il ruolo dei militari è stato sempre centrale, fin dalle origini, quando la lotta contro l’occupazione giapponese e poi per l’indipendenza dalla dominazione britannica fu guidata dal generale Aung San, padre Aung San Suu Kyi, ucciso alla vigilia dell’indipendenza da un tentativo – allora fallito – di golpe militare. Dopo una breve stagione democratica per oltre mezzo secolo il Paese è stato sotto il tallone dei generali. Una lunga dittatura superata dal 2012 da una transizione democratica. E in queste ore si torna indietro, agli arresti arbitrari, alle divise nelle strade e alla presa del potere attraverso il potere militare, escludendo ancora una volta il processo democratico nella vita di quella popolazione. Tutto questo fa tornare il Myanmar, di nuovo, in una condizione di angosciante incertezza e paura.

Oggi era attesa l’inaugurazione del Parlamento uscito dal voto di novembre, ecco il perché, oggi si è voluto interrompere – di nuovo – quella graduale transizione dalla dittatura alla democrazia iniziata nel 2011. Si è spezzato quel delicato equilibrio di potere tra l’esercito, che controlla il 25 percento dei seggi in Parlamento e tre Ministeri chiave, e il potere civile che in Suu Kyi vede la propria guida.

Il Myanmar ripiomba nel buio, dove la democrazia viene calpestata e il peso delle armi torna ad imporsi. Ora è responsabilità morale e politica della Comunità internazionale e di ogni coscienza democratica non lasciare solo quel Paese nella sua lotta per la democrazia e la libertà.