Lo Smart working cambia Roma e cambia l’Italia

Lo Smart working non è un cambiamento transitorio. E non è neppure soltanto un cambiamento del lavoro per le sue conseguenze sulla vita delle persone, delle imprese e della città. Secondo Cristine Lagarde riguarderà in Europa in via permanente il 20 per cento delle attività lavorative. L’Osservatorio del Politecnico di Milano prevede che in Italia post Covid ci saranno almeno 1/3 delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti in Smart working.

Per Unindustria di Roma saranno il 40% le attività lavorative in Smart working nella Capitale. Perché se non tutti i lavori in futuro potranno essere svolti da remoto, a Roma, città del terziario, si concentrano molte delle attività che possono esserlo. Il partito democratico di Roma ha acceso per tempo i riflettori sul tema. Prima, da aprile a luglio 2020 organizzando insieme alla responsabile della segreteria nazionale Marianna Madia un ciclo di seminari sull’innovazione, leva per il cambiamento invocato dal Covid.

Poi con una riflessione più specifica sullo Smart working, in 2 tempi, il 21 dicembre e l’8 febbraio, e con il contributo del punto di vista di esperti ed accademici, delle imprese pubbliche e private, delle organizzazioni sindacali, della Camera di Commercio, degli amministratori e delle istituzioni.

Il 21 dicembre abbiamo scelto di concentrare l’attenzione sull’impatto del lavoro da remoto sulla prestazione di lavoro e sull’organizzazione delle imprese, l’8 febbraio sull’impatto sulla fisionomia della Capitale e più in generale delle città grandi e piccole, da Milano a Settimo torinese, alle città del Sud a confronto con le esperienze di buon governo sperimentate nei municipi guidati dal centrosinistra e il prezioso lavoro di opposizione portato avanti dal gruppo PD Campidoglio.

Certo ciò che abbiamo visto in questi mesi, non solo nella Capitale, assomiglia più al telelavoro, ma è sufficiente per valutarne l’impatto, per apprezzarne i vantaggi e leggere i limiti. Che dal punto di vista delle lavoratrici, dei lavoratori e dell’impresa, questa è la conclusione a cui siamo arrivati con il contributo di tante voci nel seminario di dicembre, andranno affrontati con la contrattazione collettiva aziendale e territoriale e con una legge di sostegno: dalle regole sulla disconnessione e sulla formazione, a quelle sul salario e sull’orario, alla revisione dei processi organizzativi. Con la chiarezza che lo Smart working non è né home working né uno strumento di conciliazione dedicato alle donne.

Analogamente, dal punto di vista dell’impatto sull’organizzazione sociale e produttiva delle città e sulla loro fisionomia, vantaggi e limiti dovranno essere affrontati, risolti e indirizzati con un patto per lo sviluppo locale tra le istituzioni, le imprese, il mondo del lavoro e del commercio. Guidato dalla visione del futuro cui ispirare le politiche pubbliche di contesto: urbanistiche, di utilizzo di spazi pubblici e privati per coworking, infrastrutturali, industriali, di decoro urbano, di rigenerazione urbana. Con il sostegno delle politiche nazionali di digitalizzazione del paese e delle risorse del Recovery Plan.
Ed è questa la sintesi della discussione del 2 seminario dell’8 febbraio.

É evidente l’interesse e la necessità della politica di accompagnare nella transizione verso il cambiamento le persone e le imprese e fare in modo che lo svuotamento dei centri urbani non corrisponda alla loro desertificazione ma ad un diverso modello di città in cui vivere meglio.

La città dei 15 minuti”, è la proposta dalla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo: la possibilità cioè per tutti di raggiungere in quindici minuti di distanza, a piedi o in bicicletta, i servizi necessari per mangiare, divertirsi e lavorare. Una visione suggestiva e visionaria che interpreta la necessità contemporanea di orientare diversamente lo sviluppo urbano. Milano sta già predisponendo linee guida che vanno in questa direzione.

Lo Smart Working dunque, per l’insieme dei suoi effetti, per il suo carattere di cambiamento stabile, per la dimensione delle persone coinvolte a Roma, può essere l’occasione per ridisegnare in senso equilibrato la Capitale, e curare le ferite e le diseguaglianze che la attraversavano già prima del Covid e ancora di più dopo: nei livelli di istruzione, di occupazione, di reddito, di servizi molto differenziati a livello territoriale.

Per farlo è appunto necessario, più che mai a Roma, un patto tra la Pubblica amministrazione, il mondo del lavoro, dell’impresa e del commercio, le università finalizzato all’innovazione. Che è stata ed e’ nella vocazione della Capitale, di cui il cambiamento del lavoro è motore e occasione.
E insieme la riforma istituzionale dei poteri dei Municipi.

É questa la vera sfida politica delle prossime elezioni amministrative. Dopo anni di incuria, mortificazione e declino.