La dimensione della democrazia nelle smart cities

Ci interroghiamo spesso sul grado di democrazia presente nelle città più d’avanguardia nel mondo, le cosiddette smart cities. «Città intelligenti» altamente specializzate nell’impiego di innovazioni tecnologiche tese non solo all’ottimizzazione del comfort urbano ma anche alla mitigazione del cambiamento climatico.

Premettendo che vi è stato un abuso di questa categoria nell’elaborazione di strategie e politiche urbane, le quali possiedono una chiara efficacia solo se poste in un quadro integrato di governo del territorio, non è stato debitamente indagato come la classificazione stessa di alcune città nell’albo delle smart city comporti una discriminante significativa negli indici di attrattività e competitività rispetto ad altre importanti polarità urbane del pianeta non-smart, anche se significativamente più popolose. Andando dunque più nello specifico sui caratteri democratici delle città, cosa si nasconde dietro alle realtà urbane più innovative del pianeta?

Osservando ad esempio le metropoli di Dubai, Hong Kong o Singapore, città-stato capofila di sistemi funzionali urbani che trascendono la sfera di influenza definita dai propri confini amministrativi, all’ottimizzazione della mobilità sostenibile e della gestione della forestazione nonché dell’efficientamento energico è stato esercitato un controllo delle libertà democratiche sempre più stretto. Le manifestazioni in corso in particolare a Hong Kong, dalla «Rivoluzione degli ombrelli» (2014) ad oggi, rimarcano quanto ad una maggiore innovazione tecnologica non corrisponda in modo direttamente proporzionale una diffusione degli organismi democratici, tutt’altro, gli strumenti perfezionati della smart city possono indurre processi di controllo urbano strutturato. Sicché è necessario tenere presente che le politiche urbane del futuro tese alla sostenibilità possono avere controindicazioni sulla legittimità dell’esercizio democratico.

Eppure la sfida sostenibile non è più rinviabile e l’intramontabile dualismo democrazia/tecnologia avrà un importante banco di prova proprio nelle grandi città europee, in un paradigma che mira a cambiare radicalmente l’Agenda Urbana Europea facendo perno sulle politiche ambientali attuate con il Green New Deal e soprattutto da Next Generation EU. Le Capitali dei principali Stati Membri oggigiorno subiranno trasformazioni significative proprio con lo sblocco delle risorse del Recovery Fund, sicché risulta necessario vigilare almeno sue due ambiti: la qualità urbana e la mixité sociale.
Per quanto concerne il primo punto non è semplice trovare una formula che saldi l’efficientamento energetico degli edifici alla salvaguardia dei manufatti novecenteschi che in molte città come Milano, Bruxelles o Barcellona costituiscono ancora l’ossatura del contesto urbano, sia in termini di disegno urbano sia di immaginario. In merito al secondo punto invece, l’esperienza delle grandi trasformazioni urbane recenti in Europa ha dimostrato che le amministrazioni pubbliche non sono sempre riuscite a tutelare un tasso di mixité tale da garantire un virtuoso place-making e governare i processi di gentrificazione.

In conclusione, è fondamentale considerare che piani, programmi e progetti anche di scala europea o nazionale hanno impatti significativi proprio su questi ambiti, perciò bene procedere con una strategia sostenibile che riesca a indurre fenomeni radicalmente impattanti sulla mitigazione del cambiamento climatico ma con la consapevolezza che soluzioni incapaci di contemplare la democraticità di questi processi provocheranno seri problemi proprio su quei valori universali dei quali l’Unione Europea è da sempre portatrice.