Transizione ecologica: è tempo di azioni concrete

Quello che stiamo vivendo è il decennio della “transizione ecologica”: verso gli ambiziosi target al 2030 di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, di crescita della quota di energia da fonti rinnovabili, di riconversione dei modelli di mobilità, di incremento dell’efficienza energetica. Traguardi intermedi che la Commissione UE ha proposto di rafforzare ulteriormente per giungere alla neutralità climatica nel 2050.

Attorno a questa sfida l’Italia appare prigioniera da qualche tempo di un insostenibile paradosso: nel mentre si alza continuamente l’asticella degli obiettivi, poco o nulla avviene per avvicinarne il raggiungimento.

In realtà, la transizione sarà compiuta se ci guiderà la concretezza delle scelte, vincendo ogni tentazione ideologica. Scelte che, ovviamente, non sono per nulla neutre, poiché chiamano in causa la vita delle persone, delle aziende, l’organizzazione stessa della società, delle città e del sistema produttivo. E immaginare che il cambiamento possa avvenire premendo un semplice interruttore sarebbe irragionevole ed, oltretutto, lo allontanerebbe nel tempo.

Attuare la transizione è, quindi, il mantra che deve guidare le stesse politiche energetiche. Sarà una delle sfide più delicate del nuovo Ministero affidato a Roberto Cingolani, nella consapevolezza che sugli obiettivi da raggiungere vi è larghissima condivisione nel paese (chi può dirsi contrario ad un fabbisogno energetico soddisfatto interamente da rinnovabili senza più alcun ricorso alle fonti fossili?), mentre le opinioni divergono quando si passa alle misure da adottare.

E, di seguito, ne indichiamo alcune di tali misure, ispirate al principio di concretezza, che si potrebbero realizzare in un orizzonte temporale di breve periodo (12-18 mesi), funzionali alla accelerazione del processo di transizione.

1. I dati di nuova capacità installata di rinnovabili negli ultimi anni e le relative proiezioni future rendono attualmente irraggiungibili gli obiettivi fissati al 2030 dal PNIEC. E’ urgente adottare una strategia industriale di sviluppo di impianti da fonti rinnovabili (integrata con gli strumenti della cosiddetta “democrazia energetica”), la cui priorità è data da una vera e propria rivoluzione nei procedimenti autorizzatori: revisione delle competenze tra le varie amministrazioni pubbliche, a cominciare dalle sovrintendenze da chiamare in causa solo in presenza di vincoli; drastica riduzione dei tempi e semplificazione delle istruttorie estremamente lunghe e scoraggianti; ingaggio nelle amministrazioni interessate di task force di tecnici per l’istruttoria; rapida attuazione delle indicazioni previste nella Direttiva RED II in materia di rinnovabili; definizione di obiettivi regionali di nuove installazioni; agrovoltaico in aree agricole non coltivate e abbandonate da anni; favorire il repowering, a consumo di suolo invariato; revisione del meccanismo delle aste (le ultime quasi deserte nonostante gli incentivi previsti fossero ben più alti di altri paesi).

2. Il “phase-out” dal carbone al 2025 è uno dei passaggi intermedi fondamentali: processo già largamente avviato che, perché si possa compiere definitivamente, deve essere accompagnato dalla chiusura dei procedimenti in corso per la autorizzazione dei nuovi impianti a gas previsti dal PNIEC e ritenuti essenziali per assicurare stabilità al sistema. Gli attuali ritardi istruttori rischiano pericolosamente (e incredibilmente) di mettere in discussione tale tappa, come denunciato da più parti.

3. La mobilità sostenibile è uno dei cardini della transizione ecologica. Una proposta specifica, concreta e misurabile: un piano per la riconversione entro il 2030 dell’intero parco mezzi del trasporto pubblico locale (su gomma e su ferro) a elettrico, idrogeno e biocarburanti.

4. Integrare le risorse pubbliche del Recovery Plan con le risorse autonomamente previste nei Piani strategici dei prossimi 3/5 anni delle grandi aziende a partecipazione pubblica (Enel-Eni-Snam-Terna e, per gli aspetti ambientali, energetici e di sostenibilità, CDP, Ferrovie, Poste), nonché delle più importanti multiutility del paese, sui principali assi strategici condivisi: rinnovabili, idrogeno, infrastrutture di rete, accumuli, digitalizzazione, smart city, mobilità, efficienza. Non si tratta di percorrere con furbizia qualche scorciatoia, magari per accelerare la spesa, spostando gli oneri di alcuni investimenti di tali gruppi sulle risorse pubbliche, quanto di realizzare un vero e proprio effetto moltiplicatore, all’interno di una sorta di “Master plan della sostenibilità”.

5. La transizione energetica deve attraversare lo stesso sistema produttivo ed industriale del paese, una sfida dai tempi medio-lunghi. C’è, però, un luogo dove è possibile sperimentare da subito tale ambizione, superando le indecisioni estenuanti degli ultimi tempi, avviando la riconversione green dello stabilimento siderurgico ex-ILVA di Taranto.

6. La sostenibilità economica dell’idrogeno verde è legata allo sviluppo della tecnologia degli elettrolizzatori e alla disponibilità di capacità “aggiuntiva” di rinnovabili: nel frattempo, bisogna far crescere la domanda (anche con l’utilizzo a breve dell’idrogeno blu) promuovendo da subito nel paese una rete di “ecosistemi territoriali dell’idrogeno” in cui integrare i potenziali consumatori con l’offerta, la ricerca e le infrastrutture logistiche.

7. La riconversione dell’upstream e del downstream nazionale è una delle questioni più complesse e delicate del decennio della transizione: va superato ogni atteggiamento ideologico per provare a costruire una strategia sostenibile di graduale fuoriuscita che tenga conto del fabbisogno nazionale di gas lungo il tragitto della transizione e del patrimonio industriale, di competenze e professionalità del nostro paese, perché non siano i lavoratori a pagare il prezzo di tale processo.

8. Consolidare la dimensione nazionale della ricerca e dell’innovazione, superando la dipendenza tecnologica che per lunghi anni ha caratterizzato, ad esempio, il settore delle rinnovabili in Italia. La sfida della competitività degli investimenti “green” sarà legata sempre di più alle nuove tecnologie, anziché alla disponibilità di materie prime, come è stato per il settore energetico nel secolo scorso. Solo così sarà possibile intercettare una quota significativa della “catena del valore” di questa nuova fase: da qui, l’urgenza di consolidare la versione “green” di Industria 4.0, rivolta alle trasformazioni tecnologiche e digitali per la sostenibilità ambientale e al rafforzamento delle filiere industriali nazionali.

Sono proposte specifiche su cui il PD ha avviato in questi mesi un largo confronto, convinti che, per quanto assolutamente parziali, possono aiutare ad accelerare il processo di transizione ecologica, realizzando una transizione giusta.