La Giornata mondiale di azione per il clima è stata, il 19 marzo scorso, l’opportunità di osservare e registrare nelle numerose iniziative e prese di posizione pubbliche l’evoluzione del movimento dei Fridays for future. Sono passati meno di tre anni dalla nascita, che si può far risalire alle prime proteste di Greta Thunberg. Non serve sottolineare che sembra sia trascorso molto più tempo perché, in effetti, da allora un’epoca è passata: l’impegno ambientale da battaglia di nicchia è diventato il fondamento dei piani di rilancio post – pandemia in tutto il mondo, Unione europea compresa. Era inevitabile che nel nostro Paese si osservasse un simile scatto, recentemente ben rappresentato dall’istituzione del Ministero della transizione ecologica. L’ambiente, trainato dalle scelte e dai programmi dell’Ue, si è evoluto da opzione di testimonianza a mission istituzionale.
I giovani attivisti sono alle prese con l’interpretazione del cambiamento del loro ruolo, e con le possibilità di metterlo a frutto. Se infatti sono riusciti nella fase iniziale del loro impegno a ben adempiere agli obiettivi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, oggi si misurano con la necessità di sviluppare una funzione più matura, all’insegna della proposta e della vigilanza. Già nei mesi scorsi, rimanendo nel nostro Paese, abbiamo visto la diffusione di documenti puntuali, come quello sul Piano di ripresa e resilienza. Il quadro si è continuato a definire con l’elezione di una rosa di portavoce. Il movimento dei giovani per il clima continua quindi a maturare sulla strada dell’organizzazione, sviluppando strutture e programmi, un percorso che per le giovani generazioni non può che essere facilitato dalla maggiore naturale confidenza con le nuove tecnologie e con i mezzi per dialogare a distanza, presupposto fondamentale per un movimento che è globale per definizione.
Credo che sia auspicabile che questa crescita prosegua nel migliore dei modi, auspicabile, intendo, anche per la buona riuscita dei propositi alla base della scelta di destinare significativi investimenti per la transizione ecologica del sistema economico. Laddove è prevista un’ingente disponibilità di fondi pubblici, come è nel caso di Next Generation EU e in generale della nuova programmazione europea, il rischio che c’è chi pensi di ricorrere a scorciatoie per accaparrarseli è inevitabile. La scorciatoia principale in questo caso si chiama greenwashing: un ecologismo di facciata attento agli aspetti di marketing e comunicazione piuttosto che all’incisività degli interventi. In alcuni casi può essere utile per ottenere risorse subordinate agli obiettivi di sostenibilità, in altri per beneficiare della “buona stampa” che si può ottenere dal presentarsi come amici dell’ambiente. E’ stato confortante in questo senso leggere nelle dichiarazioni dei portavoce italiani dei Fridays il proposito di vigilare perché questa deriva non prenda piede. Un’attenzione che speriamo, come è già avvenuto in passato per le parole d’ordine del movimento, si trasferisca anche alle regole, ai limiti, ai controlli stabiliti dalle istituzioni per l’accesso alle risorse.
Michele Fina