Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in procinto di essere consegnato all’Unione europea, rappresenta un’occasione come non accadeva dal dopoguerra per ripensare dalle fondamenta i pilastri del nostro modello di sviluppo lineare, orientandolo verso i principi dell’economia circolare. Nel nostro Paese rappresenta anche l’opportunità di intervenire su alcuni nodi strutturali che storicamente hanno determinato forti squilibri territoriali, dal gap infrastrutturale, al divario Nord – Sud, all’occupazione giovanile, solo per citarne alcuni.
Prima di ogni considerazione è utile ricordare che dei 222 miliardi di euro di investimenti previsti nei prossimi anni, solo 69 sono a fondo perduto, la restante quota di 153 miliardi sono rappresentati da debito e prestiti che dovranno essere rimborsati. E’ essenziale tenere a mente questo perché il Piano rappresenta un’occasione di rinascita ma anche un’ipoteca sul futuro dei più giovani che quel debito dovranno ripagarlo. Sarà essenziale quindi che i soldi siano spesi in fretta ma ancora di più che siano spesi bene, a favore di iniziative e progetti in grado di garantire uno sviluppo sostenibile, giusto e duraturo.
Sarebbe una pretesa poco sensata quella di fare una disamina in poche delle singole voci previste in un piano di centinaia di pagine, ci concentreremo allora su alcune questioni chiave.
Divario Nord – Sud. Positivo il fatto che sia cresciuta la quota di risorse destinate al Sud che nella nuova stesura arriva circa al 40% del totale. Storicamente il Paese ha registrato le performance migliori ogni volta che la forbice territoriale si è accorciata.
Transizione. Da accogliere con favore che il 40% delle risorse sia destinato alla transizione ecologica. Rimangono tuttavia aperte alcune questioni. Non sono sufficienti le risorse destinate alla riqualificazione energetica dell’edilizia pubblica, capitolo che ha visto ridotti di un terzo gli investimenti rispetto alla prima versione. Non è soddisfacente allo stesso modo la parte che riguarda la pianificazione della mobilità sostenibile e in particolare delle piste ciclabili nelle aree urbane. È stata prevista la realizzazione di 570 km di piste ciclabili urbane, si tratta di un obiettivo al ribasso non sufficiente ad attuare quella rivoluzione della mobilità dolce che potrebbe migliorare salute, qualità dell’aria e vivibilità dei centri urbani principali. Allo stesso modo occorre una revisione degli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di CO2. Per L’Italia è stato fissato un obiettivo al ribasso del 51% di riduzione entro il 2030 mentre l’obiettivo europeo è del 55%.
Altro elemento da sottolineare è l’eccessivo sbilanciamento degli investimenti verso l’Alta velocità ferroviaria, cui sono destinati 13 miliardi, mentre alle linee regionali spettano solo 940 milioni. Un potenziamento del trasporto territoriale ed un ampliamento della capillarità del trasporto su ferro sono essenziali ai fini della transizione, dello sviluppo delle aree interne, del decongestionamento delle aree urbane. Puntare solamente sulla connessione veloce di grandi poli urbani, per quanto necessario, rischia di essere in controtendenza rispetto alla necessità di riscoperta dei centri minori generata dalla pandemia e alla possibilità di lavorare in smart working grazie alla connessione veloce.
Superbonus. L’introduzione del credito di imposta al 110% per ristrutturazioni finalizzate ad aumentare l’efficienza energetica degli edifici ha rappresentato un traguardo importante. Tra i diversi benefici collegati alla misura, oltre alla riduzione delle emissioni, è utile ricordare la forte spinta al settore dell’edilizia, la riqualificazione di un patrimonio immobiliare con l’età media tra le più elevate in Europa, la regolarizzazione di situazioni non conformi e mai sanate, l’attivazione di capitali privati in un momento di crisi economica in cui si rendono necessari interventi in chiave anticiclica. Per raggiungere la neutralità carbonica nel 2050, l’Italia dovrà tagliare ogni anno 17 milioni di tonnellate di anidride carbonica, un obiettivo estremamente ambizioso, per raggiungere il quale si prevede un fabbisogno di investimenti di oltre 60 miliardi l’anno. In questa chiave l’Ecobonus rappresenta uno strumento di primaria importanza, che agisce su un settore, quello residenziale, particolarmente impattante. In Europa il patrimonio edilizio è responsabile del 40% del consumo di energia e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra, in Italia il 37,1% degli edifici è nella classe energetica G, e il 24,9% nella classe F. Esistono dunque ampi margini di miglioramento, tuttavia l’applicazione pratica della misura è stata fortemente rallentata dalla complessità burocratica e procedimentale. Si rende quindi necessario ragionare sia sulla semplificazione dello strumento, sia sull’ulteriore prolungamento e sul potenziamento delle risorse finanziarie a disposizione.
Altre misure. Poi per la prima volta vediamo in Italia uno stanziamento di risorse per il contrasto alla povertà energetica: parliamo di individui e di famiglie che fanno fatica a scaldarsi in modo adeguato in inverno perché non possono permettersi il pagamento delle utenze. Molto bene anche l’investimento sull’idrogeno. Per quanto molti sottolineino la non concorrenzialità e la mancanza di un mercato, dobbiamo avere il coraggio di fare una scommessa decisa su una tecnologia molto promettente e che potrebbe collocare le nostre imprese in una posizione di leadership internazionale. Rispetto al potenziale di occupazione è importante tenere presente che molti di questi investimenti, trattando tematiche innovative, sia in termini di transizione che di digitalizzazione dei modelli, necessiteranno di nuove competenze e pertanto i soggetti che beneficeranno in modo maggiore della domanda di lavoro generata saranno i giovani, categoria che più di tutte ha sofferto dalla crisi del 2008.
In conclusione. Prima di ogni considerazione sui singoli capitoli del piano, si rende urgente la necessità di un massiccio intervento legislativo e normativo finalizzato a semplificare, snellire ed accorpare le procedure. In mancanza di una velocizzazione drastica della capacità di spesa rischiamo di rimanere con un piano incapace di scaricare a terra i suoi effetti benefici. Nella rivoluzione c’è sempre una parte di azione e se non agiamo quanto prima nel potenziare la macchina amministrativa, la transizione e in generale gli investimenti del PNRR rischiano di rimanere le ennesime grandi opere incompiute.