“Ci preoccupa la convergenza sempre più evidente tra quelli che manifestano anche in forme violente contro il green pass o contro il vaccino e i movimenti di estrema destra. Questo è il momento della non indifferenza. Per come è concepito, e soprattutto per come è perseguito, il reato di apologia di fascismo evidenzia dei limiti. Bisogna riflettere su un suo rafforzamento”.
Lo dice a Radio Immagina, nel corso dell’intervista di Giuliano Giubilei, Noemi Di Segni, riconfermata per la seconda volta alla Presidenza delle Comunità Ebraiche Italiane. “Deve preoccupare – continua – non solo la volontà di ricostituzione del partito fascista, ma anche la presenza di sentimenti, di comportamenti esteriori, di saluti romani, di ‘Viva Mussolini’. Insomma, di forme nostalgiche così accentuate che generano oggettivamente un sentimento di odio, soprattutto contro la nostra comunità. Bisogna precisare meglio la fattispecie del reato: tutte le manifestazioni nostalgiche devono esser vietate perché offendono la memoria”.
“La debolezza dell’ordinamento o quanto meno della sua applicazione è nel fatto che spesso, se non c’è esplicita volontà di ricostruzione del Partito fascista non c’è intervento della magistratura. A nostro giudizio – prosegue Di Segni – bisogna rafforzare il reato di apologia di fascismo”.
Una preoccupazione simile, secondo la comunità ebraica ci dovrebbe essere nei confronti di quelle manifestazioni No Green Pass, durante le quali c’è stato chi ha vestito abiti che imitavano quelli indossati dagli ebrei nei campi di concentramento nazisti. “Non c’è solo il dolore e l’offesa dei sopravvissuti – sostiene ancora Noemi Di Segni – questi comportamenti sono una ferita per tutta la comunità italiana. E anche qui: siccome non c’è un esplicito incitamento all’odio, a quanto pare, non si può intervenire per fermare queste mascherate grottesche e offensive. Ma a noi sembra evidente che contribuiscano a creare un clima di antisemitismo e di istigazione all’odio. C’è frustrazione insomma, nella nostra comunità, che vorrebbe che si trovasse un modo per frenare questi atteggiamenti. O con un intervento di tipo legislativo o con un’interpretazione delle leggi capace di individuare l’offesa e il danno sociale che provocano”.
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