Contro la fame e la povertà diamo voce alle donne

Tre giorni importanti da ricordare il 15, 16, 17 ottobre. L’assemblea generale delle Nazioni Unite li ha scelti per la giornata delle Donne Rurali, la giornata mondiale dell’Alimentazione, e infine la giornata per lo sradicamento della Povertà.

C’è una profonda connessione tra queste tre celebrazioni, e il fulcro è dentro la prima data: le donne delle comunità rurali. Le donne svolgono in tutto il mondo una funzione fondamentale per la sicurezza alimentare, sono protagoniste della produzione della maggior parte del cibo disponibile, ma spesso vivono nell’insicurezza, subiscono violenza, discriminazioni, sono le prime a vivere sulla propria pelle gli effetti delle crisi, compresa quella climatica. Sostenere la crescita e lo sviluppo delle donne in agricoltura nei paesi più poveri, significa investire sullo sviluppo delle comunità, di interi Paesi, significa ridurre il rischio di dissesto idrogeologico. Anche per questo l’obiettivo della parità di genere è divenuto uno degli obiettivi strategici dell’agenda per lo sviluppo sostenibile. Secondo la Fao nelle aree rurali, dove vive la maggior parte delle persone che soffrono la fame sono le donne a produrre gli alimenti consumati sul posto. Se avessero un adeguato accesso alle risorse e ai servizi essenziali, come la terra, il credito, la formazione gli obiettivi mondiali per l’alimentazione potrebbero essere raggiunti. Per far questo sarebbe però utile la partecipazione delle donne contadine alla costruzione di politiche, che spesso non rispondono alle loro esigenze.

Tutte le principali analisi degli organismi internazionali, Fao, Ifad, confermano che quando le donne economicamente e socialmente diventano autonome , diventano uno straordinario agente di cambiamento e di crescita. Si stima infatti che se le donne avessero il medesimo accesso degli uomini alle risorse agricole, la produzione nelle fattorie gestite da donne aumenterebbe del 20/30% e il numero di persone che soffre la fame diminuirebbe di 100/150 milioni.

In Africa subSahariana, Asia orientale , America Latina, le donne costituiscono la maggioranza della forza lavoro agricola, lavorano normalmente 12-13 ore a settimana più degli uomini, ma posseggono la metà del bestiame, e rappresentano meno del 5% dei proprietari di terreni agricoli.

Sono un fulcro fondamentale ma non hanno accesso alla terra, al sapere, al potere. E le cose purtroppo non stanno migliorando.

Nel mese di luglio Oxfam ha pubblicato un rapporto sull’impatto del Corona virus sul mondo già affamato che ci racconta come la Pandemia abbia ulteriormente peggiorato la situazione delle donne rendendo impossibile a molte di loro svolgere un lavoro retribuito a causa dell’aumento del carico di lavoro domestico e di assistenza. Cresce il numero delle donne per le quali diventa più difficile l’approvvigionamento di acqua e di cibo, anche per la chiusura dei mercati, e che salta il pasto o riduce la propria razione per lasciare alla famiglia il cibo, anche con conseguenze pesanti sulla propria salute (in India l’anemia contribuisce al 50% dei decessi materni). Ed ancora, Covid ha significato crisi dei piccoli agricoltori, (quindi donne), aiuti umanitari in calo, un sistema alimentare globale già inefficiente, che subisce un ulteriore colpo, poi la crisi climatica, i conflitti, fanno si che con la Pandemia gli hotspot della fame nel mondo crescano ancora e che accanto ai Paesi storicamente a livelli estremi per la mancanza di cibo, ci siano nuovi arrivi di Paesi come India, Sudafrica e Brasile.

Terra, acqua, microcredito, istruzione, partecipazione, potrebbero invertire la rotta. Tutto questo riguarda solo quella parte “sbagliata” del mondo in cui si muore di fame o per guerra? No. I sistemi agroalimentari globali sono tenuti assieme da un filo rosso. Ed anche le donne lo sono. Come noto, sono state più penalizzate dagli effetti economici del virus anche in Europa e nel nostro Paese.

Hanno pagato perché più presenti nei settori maggiormente colpiti dal lockdown, perché il loro smart working spesso ha significato trovarsi nuovamente immerse in duplici, triplici ruoli, con il rischio di restarci. Ed anche per questo nelle relazioni sulle linee guida per il Recovery Fund, in più passaggi si è cercato di ribadire la centralità di investimenti che abbiamo una grande ricaduta sulle donne per aggredire il divario di genere. E noi donne, abbiamo scritto ai leader in tante, abbiamo lavorato nelle nostre commissioni, parlato con i media.

In agricoltura sono circa il 30% delle titolari di impresa, sono spesso laureate, specializzate, colte. In molti casi hanno fatto altro e poi hanno deciso di tornare alla terra. Gestiscono imprese, hanno di norma maggior cura del prodotto, sono creative, hanno una grande capacità di costruire relazioni con altre ed altri del settore, cosi come con chi consuma i loro prodotti. Si pongono il problema della conquista della fiducia di chi acquista ancor prima del fatturato. Sono in gran parte produttrici Bio e di qualità. La pandemia le ha viste spesso reinventarsi. Sono loro a curare vendita, immagine, promozione anche nelle aziende di famiglia.

Sono “resilienti”, e potrebbero dare lezioni sul senso di questa parola, della capacità di diventare flessibili e non rompersi. Ma anche in questo caso, l’accesso alla terra se vuoi avviare una impresa, l’accesso al credito, ai mercati internazionali, è per loro sempre più complesso, come è complesso il rientro dopo una maternità . E se vuoi indagare il lavoro, e magari quello nero, quello con i caporali, lo sfruttamento per le donne significa spesso anche violenza ed abuso sessuale.

In questi giorni tutti parleranno di cibo, di fame, di terra di povertà. Si farà riferimento al recente bellissimo premio nobel al World Food Programme, ai sistemi alimentari locali e globali. Ma se non investiremo con determinazione sulle donne, sulla loro crescita, sulla loro autonomia economica e sociale buona parte degli obiettivi dello sviluppo sostenibile, come quelli del Piano per la Ripresa e la Resilienza, saranno difficilmente raggiunti.

Questo vale per gli ultimi e le ultime del mondo, per la sconfitta di fame e povertà, come vale per la scommessa che tutti noi stiamo giocando per il Green Deal, la transizione ecologica ed energetica, e la progettazione di un mondo nuovo.

Resilienza è un termine fondamentale, e femminile, e non è un caso. Sarebbe bello se in questo semestre Europeo che vede un terzetto femminile alla guida della Commissione, della BCE e di Angela Merkel facesse la differenza provando a tirarlo quel filo rosso. Facendo la differenza.


Susanna Cenni è Responsabile Agricoltura PD