Una straordinaria opportunità di stroncare mafie e irregolarità

La pandemia ha fatto venire al pettine molti nodi irrisolti, che aggrovigliano l’Italia sul piano economico, sociale e istituzionale. La sfida, non solo di un governo ma di un’intera classe politica democratica, è scioglierli. Se non tutti, molti. Alcuni già nei prossimi provvedimenti, altri nel percorso che segnerà la fase difficile che ci attende, le sfide epocali che siamo chiamati ad affrontare. Ma ce n’è uno, un nodo assai intricato nella storia nazionale, che va reciso, tagliato di netto, con la spada come a Gordio: l’irregolarità, l’illegalità, le mafie.

Sommerso, economia illegale e criminalità organizzata sono concetti e problemi molto diversi, talvolta hanno margini di contiguità più spesso sono del tutto distinti. Il tema di fondo però resta uno: ripartire dopo il lockdown, uscire dalla crisi e immaginare il mondo dopo la pandemia, con uno sviluppo e un’innovazione che si coniughino con i diritti, con la giustizia sociale e, dunque, con la legalità costituzionale.

La parola crisi ha il suo etimo nel verbo greco krino. È ciò che cerne, che discerne, che separa. Un prima e un dopo. Su questo crinale, è il rapporto tra l’Italia e la legalità. Difficile star fermi, si sa, dopo un po’ si può scivolare. Un versante o l’altro, di qua o di là.

Si è discusso molto del rischio che con la pandemia, come avvenuto nelle crisi precedenti, le aree grigie di illegalità si possano espandere, le mafie possano occupare nuovi spazi lasciati vuoti nell’economia e nella società, rispondendo a bisogni di liquidità di imprese e cittadini. Dobbiamo agire subito con questa consapevolezza. E tuttavia dobbiamo sapere però guardare all’altro versante. È quello di una pandemia che ha colpito anche il mondo sommerso e quello criminale, e sta offrendo alle istituzioni un’opportunità straordinaria: approfittare della crisi per provare a stroncare le mafie e a bonificare le paludi dell’irregolarità.

Ridiscendere da questo versante è un dovere. E le misure che il Governo sta adottando nell’emergenza o che si appresta a varare per la ripartenza devono assumere questa direzione chiara, riconoscibile. Dobbiamo dichiarare l’obiettivo: stroncare sul nascere il ritorno di un protagonismo criminale. La repressione, che pure in questi giorni sta facendo molto, da ultimo un’operazione importante nel casertano della DDA di Napoli, da sola non basta. Abbiamo una legislazione antimafia all’avanguardia nel mondo, ma il contrasto alle organizzazioni criminali non può essere delegato interamente alla magistratura e alle forze dell’ordine. Compito delle istituzioni della politica è rispondere ai bisogni, se non anticiparli. Adottare strategie di prevenzione antimafiosa per le imprese, offrire percorsi di emersione e emancipazione alle persone nella legalità.

Provo a indicare alcuni passi, alcuni compiuti, altri un po’ incerti, altri ancora da compiere. Il primo è la liquidità. Per le imprese e i cittadini. Dobbiamo lavorare di più, per accorciare i tempi e recuperare il ritardo drammatico con cui prestiti e aiuti vengono erogati. Perché ha ragione Nicola Zingaretti, questo mina la credibilità dello Stato e offre un vantaggio ad altri.

Liquidità per il tessuto produttivo. Abbiamo fatto molto, ma dobbiamo fare di più e fare presto, richiamando alla responsabilità alcuni istituti bancario. Anche perché le imprese, in alcune realtà, come denunciano le associazioni di categoria, stanno già ricevendo offerte “sospette” di acquisto o di credito “troppo vantaggioso”. Liquidità per scongiurare il rischio che, come ha detto un prete lucano, alla pandemia del virus segua una “pandemia dell’usura”. Questo è ancor più necessario al Sud, dove il rischio fallimento per le imprese è quattro volte più alto e l’accesso al credito più difficile. Con la ripartenza, poi, dei cantieri e dei negozi, il rischio di una recrudescenza dei fenomeni estorsivi è forte e questo è il momento giusto – siamo già al lavoro con il Ministro dell’Interno – per rafforzare le misure anti usura e anti racket.

Ma l’economia ripartirà solo con una nuova stagione di investimenti, pubblici e privati. E qui torna il nodo della capacità di realizzazione delle opere pubbliche, della velocità dell’amministrazione. Semplificare, è un imperativo. Ma si è sempre parlato di un trade-off tra controllo di legalità e semplificazione. È inevitabilmente così? Io credo di no, e un contributo può venire dalle nuove tecnologie, dall’innovazione nella macchina pubblica. L’abbiamo proposto nel Piano Sud 2030, lo stiamo scrivendo nella nuova programmazione dei fondi europei: un percorso di semplificazione fondato su centrali di committenza unificate, standardizzazione e digitalizzazione delle procedure e dei bandi può metterci al riparo dalle infiltrazioni mafiose e al tempo stesso accelerare gli investimenti. La strada di commissariamenti generalizzati non è percorribile, dobbiamo coniugare semplificazione e legalità, con una straordinaria opera di modernizzazione delle amministrazioni.

Sul fronte sociale, con il prossimo decreto dobbiamo raggiungere anche le fasce più vulnerabili della popolazione, fin qui prive di ogni forma di sostegno. Non va sottovalutata la propaganda (anche sui social network), da parte delle mafie, di mostrarsi pronte a offrire soccorso, soddisfare bisogni elementari, distribuire cibo: “Una mafia al servizio del popolo, in grado di dare risposte”. Non era vero. In quei territori, tante organizzazioni di cittadinanza attiva, realtà del Terzo settore, hanno presidiato la democrazia, e anche solo per questo andrebbero sostenute. Varare un piano di aiuti alimentari di 400 milioni per gli indigenti, proprio nello stesso giorno in cui intelligence e forze dell’ordine denunciavano quei rischi mafiosi, è stata la rappresentazione, anche plasticamente, la volontà dello Stato di non lasciare spazi alle mafie. Anche per questa ragione, serve un sostegno universale al reddito per l’emergenza: una misura temporanea che può superare i vincoli e le condizionalità del RdC, troppo stringenti in questa fase, per costruire un rapporto di fiducia tra istituzioni e segmenti sociali più esposti al ricatto del bisogno, dando la mano della giustizia alla legalità.

Per conquistare spazi allo Stato e sottrarli all’illegalità, occorre offrire con la legge percorsi di emersione di ciò che è sommerso, riconoscere diritti e doveri.  Il “nero” – non quello degli evasori: parlo degli sfruttati, non degli sfruttatori – rappresenta il 15% della forza lavoro in Italia, il 30% al Sud. È una piaga, che va combattuta, ma la repressione non basta. In alcune aree, e in alcuni settori, come quello agricolo, il fenomeno è diffuso, riguarda i migranti invisibili, ma non solo. Con la pandemia, la regolarizzazione non risponde solo a un’urgenza di giustizia, ma un’emergenza produttiva. Abbiamo chiesto di estendere la regolarizzazione al lavoro domestico. Abbiamo voluto che, nelle campagne, accanto alla regolarizzazione dei braccianti immigrati, e anche italiani, su istanza del datore di lavoro, ci fosse uno strumento per far emergere gli invisibili e consentire loro di liberarsi dal ricatto dei caporali. Oggi, l’unica alternativa alla regolarizzazione è l’illegalità, è lo sfruttamento. È esattamente quello ciò che vogliono i caporali, non dimentichiamolo.

Non dimentichiamoci di chi durante queste settimane di lockdown ha consentito che la frutta e la verdura arrivassero sulle nostre tavole. È un dovere come istituzioni, e prim’ancora come individui. È questo il senso della battaglia che stiamo conducendo in queste ore, e che portiamo avanti senza piantare bandierine, alimentare contrapposizioni. Perché la posta in gioco è troppo alta. E non è quella di una forza politica o di un’altra. Li ho visti quei ghetti della vergogna. La posta in gioco è la loro, è la vita di migliaia di invisibili ai quali riconoscere umanità, dignità. E per i quali, con dignità, dobbiamo raggiungere il risultato. Manca poco, e siamo già in ritardo.

Pochi giorni fa, abbiamo ricordato l’anniversario dell’uccisione di Pio La Torre. Era  figlio di un bracciante di periferia di Palermo. E da ragazzo nelle campagne, dove organizzava i contadini contro i privilegi feudali, così come da uomo nelle istituzioni, impegnato nell’Antimafia o nella legislazione sul Mezzogiorno, la sua battaglia contro la mafia e per legalità fu sempre, prima di tutto, una lotta culturale, sociale e politica per lo sviluppo e la modernizzazione, nel segno della democrazia e della giustizia sociale. È l’opportunità che abbiamo, anche oggi. Non dimentichiamolo.