Fake news, si muove anche l’Europa

La verità conta. Per questo dobbiamo riuscire a creare una spazio informativo resiliente e democratico, basato sulla libertà di espressione ma anche con delle richieste chiare ai player digitali. Perché questo dimostrerà che la democrazia è il sistema migliore per affrontare una crisi come quella che stiamo vivendo, con il massimo beneficio per i cittadini.

È questo, in sintesi, il convincimento che sta muovendo l’azione della Commissione europea contro la disinformazione, e che la commissaria ai Valori e alla Trasparenza Věra Jourová ha messo nero su bianco, presentando con l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue Josep Borrell le azioni che a Bruxelles si stanno mettendo in campo per rafforzare la battaglia contro le fake news.

Un problema che l’emergenza Covid ha fatto balzare ai primi posti nelle agende di tutti i governi europei, e che come la stessa commissaria ha confermato, ha visto l’Italia tra i principali bersagli di quello che ha definito come un vero e proprio attacco.

Tornano dunque ancora una volta, a proposito di fake news, e questa volta dalla bocca dei massimi vertici delle istituzioni europee, parole prese a prestito dal linguaggio bellico. Il segno più evidente che è su questo terreno che, in questo secolo, si sta giocando una partita che ha implicazioni vastissime. E che sempre più chiaramente vede ingaggiati in una ‘nuova guerra fredda’, il cui obiettivo è l’affermazione di nuovi equilibri geopolitici, sistemi politici e valoriali di natura opposta e, spesso,  incompatibile.

E quasi all’unisono con la Commissione si è mosso anche il Parlamento europeo, che il giorno dopo la comunicazione di Borrell e Jourová ha deliberato l’istituzione di una commissione speciale sulle interferenze estere verso i processi democratici nell’Unione europea. Per il capodelegazione del Pd Brando Benifei “una notizia che attendevamo da diversi mesi e per cui ci siamo battuti con forza come democratici”.

Non lo hanno mai detto così chiaramente, da Bruxelles: attori stranieri, e in particolare Russia e Cina, nel corso della crisi Covid si sono impegnati in operazioni per influenzare l’opinione pubblica e in campagne di disinformazione, in Europa e altrove, nel tentativo di minare il dibattito democratico e di esacerbare una polarizzazione nella società, con lo scopo migliorare la propria immagine durante l’emergenza.

È scritto nero su bianco nella comunicazione congiunta presentata dall’Alto Rappresentante. Insieme a un punto sugli strumenti adottati finora – e che si sono rivelati finora insufficienti a contrastare un fenomeno che conta evidentemente su un supporto economico e logistico su vasta scala -, e sulle azioni da mettere in campo per il futuro.

Gli asset strategici contro le fake news

Sono tre gli asset strategici individuati dalla Commissione europea, per i quali la pandemia ha rappresentato uno ‘stress test’ unico, e che possono essere riassunti nelle parole-chiave ‘capire-comunicare-cooperare’.

Capire, per distinguere tra contenuti illegali e contenuti dannosi, ma non illegali. E per calibrare le riposte più adatte a ciascuna situazione.

Comunicare, con l’enfasi che i commissari hanno posto sullo sforzo compiuto da Bruxelles per migliorare la propria comunicazione verso i cittadini nel corso della crisi Covid.

E infine la cooperazione, un asset ritenuto strategico per il quale sono diversi gli attori messi in gioco: i governi e le istituzioni europee, chiamate a utilizzare canali comuni come un ‘Sistema rapido di alert’ e all’adozione di una risposta integrata alle crisi di natura politica. E i partner internazionali come l’Oms, il Meccanismo di Risposta Rapida del G7, la Nato e altri. Obiettivo principale, condividere informazioni e buone pratiche.

A giocare un ruolo cruciale, nella strategia messa a punto a Bruxelles, saranno poi quegli attori della società civile capaci di far circolare fact checking e buona informazione, come i media indipendenti e i giornalisti di paesi terzi.

E, infine, a essere chiamate in causa nel capitolo dedicato alla cooperazione sono anche le piattaforme su cui i contenuti circolano, a cui viene riconosciuto di aver rimosso milioni di notizie false, ma a cui viene richiesto uno sforzo ulteriore in tema di trasparenza, dopo l’adesione al codice sulla disinformazione del settembre del 2018.

Per Borrell e Jourová è necessario adesso compiere un passo in avanti, chiedendo alle piattaforme di fornire report mensili che includano dati più dettagliati sulle azioni messe in campo per promuovere contenuti verificati, migliorare la consapevolezza degli utenti e limitare la disinformazione sul coronavirus. E a questo proposito, è arrivata la notizia che anche il social network nascente Tik Tok ha decido di aderire al Codice.

Una buona notizia che apre a una maggior trasparenza su un canale finora frequentato – senza grandi controlli sul tipo di informazione veicolata -, soprattutto da giovanissimi e da qualche spregiudicato politico.