“Tra Covid ed elezioni americane, quant’è dura la Brexit per Boris Johnson”

Intervista a Federico Gatti, corrispondente Mediaset dal Regno Unito

La prima telefonata è stata per Justin Trudeau. Ma la seconda chiamata ufficiale di Joe Biden dopo le elezioni americane è stata indirizzata al premier britannico Boris Johnson, a cui il neo ‘Presidente quasi eletto’ non ha nascosto le sue preoccupazioni per la questione dei confini irlandesi (e non solo). Un modo per fargli capire, fin da subito, che sulla Brexit l’approccio dell’amministrazione americana sarà completamente diverso rispetto a quello di Trump. Che cosa ci dobbiamo aspettare? Ne abbiamo parlato con Federico Gatti, corrispondente dal Regno Unito per Mediaset, con cui abbiamo cercato di capire i prossimi scenari. “La Brexit è per sua natura un tema polarizzante, tanto nel Regno Unito quanto oltreoceano”, ci dice il giornalista. “L’antagonismo dell’ormai ex-capo della Casa Bianca nei confronti dell’Europa ne fece il primo sostenitore internazionale, e Trump non ha mai fatto nulla per nascondere la sua posizione: dalle aperte critiche a Theresa May e l’endorsement a Boris Johnson, fino al coinvolgimento in prima persona di Nigel Farage – fautore della Brexit – nei recenti comizi di The Donald. D’altronde Brexit e Trump, oltre ad essere figli dello stesso momento storico, hanno matrici comuni in termini di ideologia e di strategia comunicativa e politica. Per i Brexiteers duri e puri, Trump rappresentava una sponda sia economica che fisiologica, insomma”.

E con Biden Presidente?

“Con Biden la situazione è completamente ribaltata. Il Presidente-eletto è stato per otto anni vicepresidente di Barack Obama, apertamente contrario all’uscita. Era al suo fianco quanto l’ex capo della Casa Bianca, durante la campagna pre-referendaria del 2016, venne a Londra a dire che il Regno Unito dopo la Brexit sarebbe stato “at the back of the queue”, in fondo alla fila, nella lista delle priorità e degli interessi commerciali statunitensi. Biden ha anche origini irlandesi e la pericolosa posizione di Boris Johnson nei confronti del cosiddetto “Protocollo Nord Irlandese” ha suscitato nei Democratici forti preoccupazioni e critiche. Biden si è detto più volte contrario ad un accordo che metta a repentaglio l’accordo di pace del Venerdì Santo. Ma non solo. Il Regno Unito è sempre stato per l’America l’anticamera d’Europa, un interlocutore preferenziale capace di influenzare le decisioni degli altri membri dell’Unione. Da Gennaio non sarà più così”.

Di fatto come cambiano ora i piani di Boris Johnson, visto che non può contare sull’appoggio incondizionato di Washington sulla cosiddetta linea dura dell’hard Brexit?

“Boris Johnson si trova ora in una posizione di svantaggio sul tavolo dei negoziati, a pochi giorni allo scadere dell’ultimatum. Il pugno di ferro usato finora con Bruxelles nascondeva la certezza in un secondo mandato di Trump e ora Johnson sa che Biden avrà più interesse ad allacciare rapporti con altre capitali europee e dedicarsi al mercato unico Europeo – un bacino economico ben più allettante di quello britannico – con buona pace della “special relationship” tra Washington e Londra. Quest’ultima sarà per Biden importante nella politica estera e in quella ambientale (dagli accordi di Parigi al ruolo degli USA nella Nato, fino ai dossier Cina e Iran) ma per quanto riguarda la Brexit, Londra ora sa che senza un accordo il rischio è quello di alienarsi ancora di più, diventando una potenza di secondo piano nello scacchiere globale, ammesso che non lo sia già, come ha recentemente dichiarato l’ex primo ministro John Major”.

Quali saranno, concretamente, i prossimi passi di Londra? E come è stata accolta a Dublino, ma soprattutto a Belfast, la vittoria di Joe Biden?

“Sui muri di Ballina, cittadina dell’Irlanda occidentale, campeggia la faccia di un Biden raggiante e vincente. Qui, nella tranquilla contea di Mayo, arrivano le radici dell’uomo che tra poche settimane entrerà nella Sala Ovale. Per l’Irlanda la vittoria di Biden rappresenta, oltre che un grande orgoglio, anche l’opportunità di entrare ancor di più nel processo dei negoziati tra Washington, Londra e Bruxelles. E non è un caso che si parli già di una visita di Biden in Irlanda. Nell’Uslter la situazione è più complessa: l’anno prossimo cadrà il centenario della creazione del Nord Irlanda, ma nonostante sia passato un secolo, a Belfast e dintorni gli spettri del passato rappresentano ancora un argomento più sentito rispetto alle opportunità per il futuro. Questo perché l’incertezza sui negoziati, e il rischio di finire con una sorta di confine interno all’Isola di Smeraldo, non permette di dormire sonni tranquilli. Paradossalmente qui si gioca molto per il futuro del Regno Unito, l’Europa e l’Occidente. L’aspetto che preme di più, al netto dello scacchiere internazionale, riguarda la collaborazione tra le comunità di Unionisti e Repubblicani – ancora profondamente divise – possibile anche e soprattutto con il raggiungimento della prosperità economica. Ecco perché un accordo con l’Europa è nell’interesse di tutti, ma sui dettagli la palla è ancora nel giardino di Downing Street”.

E sul fronte inglese?

“Per quanto riguarda i prossimi passaggi di Londra è difficile dirlo. Mercoledì scorso, durante il tradizionale question time ai Comuni, Boris Johnson ha enfaticamente sottolineato quanto le posizioni tra gli inquilini della Casa Bianca e di Downing Street in fatto di politica estera e difesa dell’ambiente siano affini, glissando clamorosamente sul tema Brexit. BoJo, come lo chiamano da queste parti, sa che è un campo minato. Mancano pochi giorni allo scadere dell’ultimatum (il processo di ratificazione di un eventuale accordo dovrà essere completato entro il 31 Dicembre) e siamo giunti al momento della verità: un accordo serve a tutti ma dipende a che condizioni, concedere troppo all’Europa – soprattutto sul tema dell’aiuto alle imprese e della governance – potrebbe rivelarsi pericoloso per Johnson, la cui scalata interna al partito è stata supportata dai Brexiter duri e puri. D’altra parte un no-deal sarebbe devastante per l’economia Britannica, già in ginocchio a causa dell’emergenza sanitaria”.

Un’ultima domanda proprio sull’emergenza Covid. Soprattutto dal punto di vista economico, il Regno Unito si trova completamente solo ad affrontare questa tempesta. Qualcuno nelle Midlands si sta cominciando a pentire rispetto alle scelte fatte?

“Ultimamente il pentimento è un sentimento molto diffuso in tutto il Regno Unito: dalla maggior parte degli Scozzesi, pentitisi di aver votato no all’indipendenza per non uscire dall’Europa – salvo trovarsi fuori dall’Europa loro malgrado poco dopo – a tanti ex-sostenitori della Brexit, condizionati da promesse rivelatesi infondate. E a proposito di fiducia tradita, l’ultimo episodio riguarda gli abitanti del cosiddetto Red Wall, ovvero le Midlands inglesi, storicamente Laburiste, ampiamente a favore di Brexit. Il Premier ha ricevuto grazie a loro il più ampio mandato dai Tempi di Margareth Thatcher. Proprio loro saranno, secondo gli esperti, quelli più colpiti dalla Brexit targata BoJo. Della serie, errare è umano…”