Nel tempo drammatico che ci è dato vivere, è persino giusto non considerare lo sport in termini di una priorità assoluta. Nelle emergenze, altre sono le necessità che reclamano la precedenza.
Eppure, nell’immaginare l’Italia che sarà e soprattutto l’Italia che vogliamo, conviene dedicare una riflessione a ciò che lo sport rappresenta. Per la nostra società, per il nostro modo di vivere.
Non mi riferisco, badate!, alle spesso cervellotiche elucubrazioni sul ritorno della serie A di calcio. Sebbene, anche qui, senza snobismi da intellettuali da tre palle un soldo, sia possibile cogliere, al di là degli interessi economici, un nesso sano tra popolo e show business. Il pallone appartiene alla cultura collettiva. L’emozione non ha voce, scriveva Mogol e cantava Celentano: quando torneremo a sgolarci per un gol, a gioire o ad arrabbiarci per un rigore, beh, sarà un bel giorno.
Ma questa è la schiuma, non la birra. La birra sta nella risposta alla domanda delle cento pistole: cosa possiamo fare, per riattivare lo sport di base, per salvaguardare i settori giovanili, per garantire un futuro all’immenso mondo del volontariato che manda avanti palestre, piscine, piste di atletica leggera, pedane da judo, eccetera? Come metteremo in condizione di ripartire atleti, arbitri, allenatori, dirigenti, praticanti, semplici amatori?
Esiste, inutile ignorarlo, un gigantesco problema di sicurezza, perché le misure che si renderanno indispensabili nelle fabbriche e negli uffici, beh, dovranno essere applicate anche in ogni spogliatoio o in ogni campo di calcetto, per dire. È un mondo diverso, quello che ci si para davanti. Sta a noi renderlo vivibile.
Proposte? Anzi tutto niente commissioni e niente comitati, ne stiamo vedendo all’opera troppi, nell’Italia spaventata del 2020.
Piuttosto, formare. Insegnare cosa fare a chi fa sudare i nostri figli o i nostri anziani. Prevenire i rischi. Pensate al pubblico delle partite dei ragazzini o delle ragazzine, agli effetti del distanziamento sociale sugli spalti, sulle tribune.
E poi. Poi, intervenire sulla fiscalità. Scelgano gli esperti la soluzione: detrazioni, crediti d’imposta, quello che volete.
Detassare al cento per cento qualunque forma di stanziamento da parte di individui o di aziende in favore di chi promuove lo sport nel nostro Paese. Non dimentichiamo, sempre tenendo da parte il calcio che ha dimensioni tutte sue, non dimentichiamo, dicevo, che dalle polisportive territoriali ai club di volley o di basket sono i contributi degli sponsor, spesso piccoli, a reggere la baracca. Ma gli sponsor chi sono? Aziende, ora costrette a battersi per evitare il fallimento. Vanno aiutate, anche a non abbandonare la loro proiezione sociale attraverso lo sport.
Infine, mi viene in mente un’ultima suggestione. Nel 2026 avremo una Olimpiade in Italia, tra Milano e Cortina.
Possiamo trasformare quell’evento in una locomotiva. In un volano per l’intero movimento. Quella Olimpiade dovrà essere la più bella di sempre, coinvolgendo l’entusiasmo ritrovato di una nazione, l’Italia, guarita dalla ferita più grave.
Milano-Cortina non comincia nel 2026. Comincia adesso!