Un patto sociale verde e digitale per ripartire dal basso coinvolgendo i cittadini
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L’epidemia di COVID-19 rappresenta una sfida senza precedenti per le democrazie contemporanee. Nonostante la portata globale del problema, la risposta è stata principalmente nazionale con un sempre più intenso coordinamento europeo e globale. Questa emergenza sta accellerando la trasformazione anche in chiave digitale di moltissimi aspetti della nostra vita: dallo smart working, all’educazione a distanza e l’uso di piattaforme digitali per food delivery, fino all’uso di respiratori 3D fabbricati dai fablabs, apps di contact tracing per combattere il virus, e dati per analizzare l’impatto economico, sociale ed ambientale della crisi in corso. Gli scienziati al momento stanno condividendo con tutta la comunità scientifica mondiale in modalità “open access” una banca dati, ricerche e soluzioni per la cura del virus. Se non fosse per queste capacità di produrre e scambiare conoscenza scientifica e tecnologia non riusciremmo a fare i progressi necessari per uscire dall’emergenza.

Nella nostra vita di tutti i giorni, abbiamo di fronte sfide enormi ad esempio per quanto riguarda le trasformazioni del mondo del lavoro e dell’educazione. La digitalizzazione del lavoro, ad esempio, comporta molti benefici per far fronte al calo della produttività, ma comporta anche problematiche delicate legate al bisogno di formazione, nuove disuguaglianze o alla sorveglianza sul posto di lavoro, che richiede nuove politiche. Per introdurre lo smart working in maniera sicura si devono dotare i dipendenti dei giusti strumenti e risorse e si possono anche mettere in campo modelli alternativi, come il “co-working”, che sfruttano le tecnologie digitali, per facilitare la collaborazione e la creazione di nuove competenze. In generale, credo si debba agire coraggiosamente per anticipare i profondi cambiamenti nel mercato del lavoro e fare un’applicazione rigorosa delle leggi sul lavoro, ad esempio per fermare la crescente precarizzazione dei lavoratori della gig economy e lo spostamento di posti di lavoro ben pagati a causa dell’automazione industriale e dell’intelligenza artificiale che portano maggiore efficienza e rendimenti più elevati.

Un altro settore su cui focalizzarsi nel dopo COVID19 sarà il futuro dell’educazione. Dobbiamo anticipare la trasformazione digitale nel mondo della scuola, creano nuove piattaforme open source accompagnate da metodologie di apprendimento digitale “learning by doing”, e supporto per gli insegnanti. Dobbiamo investire in discipline STEAM (scienza, tecnologia, ingegneria, le arti e la matematica) e sperimentare nuovi metodi educativi per l’alfabetizzazione digitale. È necessario anche risvegliare la vocazione delle ragazze nelle carriere tecnologiche e soprattutto mettere in atto politiche per dare maggiore potere e visibilità alle donne in ambito scientifico e tecnologico.

Quale futuro digitale? La tecnologia al servizio delle persone

In generale, questa crisi mette a fuoco molto più chiaramente le scelte esistenziali che dobbiamo affrontare come società di fronte alla digitalizzazione. Vogliamo un futuro orwelliano, in cui i nostri dati non sono sicuri e sono soggetti a manipolazione da parte dei giganti digitali? O vogliamo una società digitale più sicura e giusta, in cui godiamo della privacy e delle tecnologie digitali avanzate che lavorano nell’interesse dei cittadini?

Ci sono strade diverse che le democrazie europee possono intraprendere in questo momento. Una prima è quello di seguire il modello cinese top-down e più autoritario, che, seppur efficace, potrebbe limitare fortemente i nostri diritti costituzionali. Un altro è quello di riporre maggiore fiducia nei Big Tech. Anche questo potrebbe funzionare, ma a lungo termine avrà dubbi effetti sulla nostra società.

Per far fronte all’emergenza, alcuni paesi hanno mobilitato una vasta gamma di strumenti di sorveglianza di massa, come “app” obbligatorie che classificano le persone in base al loro rischio di contagio, tracking di massa e condivisione di informazioni personali e Big Data con le autorità. La Cina ha usato i dati del telefono cellulare per rintracciare i milioni di persone che hanno lasciato Wuhan nelle ore precedenti alla quarantena, e poi in seguito utilizzando Alipay e WeChat’s HealthCode (applicazione che colleziona dati sanitari e cartelle cliniche) che generano un codice rosso, giallo o verde per determinare la libertà di movimento delle persone, a seconda se fossero venuti in contatto con individui infetti. Singapore ha utilizzato l’applicazione TraceTogether con dei team di sanitari per condurre indagini e interviste per individuare i contagiati e pianificare i test. La Corea del Sud ha utilizzato correlazioni tra i dati degli smartphone, pagamenti con carta di credito e un’app di tracciamento basata su GPS per mappare i contagi.

Ma la maggior parte delle democrazie occidentali respinge giustamente soluzioni così invasive, in quanto farebbero più danni sul lungo periodo. I sistemi di sorveglianza e profilazione di massa resi possibili dalle tecnologie digitali, generano facilmente diseguaglianze e discriminazioni e senza adeguate e stringenti garanzie possono minare l’esercizio dei diritti della persona. Le tecnologie che vanno messe in campo per l’emergenza in un paese democratico possono e devono coniugare l’obiettivo della sicurezza sanitaria e l’efficacia dell’azione pubblica con la garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone. In Europa si è scelto di seguire un approccio che rispetta i diritti costituzionali, coniugando la tracciabilità, efficacia e privacy e sviluppando tecnologia con codice libero che può essere ispezionata pubblicamente, con alti livelli di privacy-by-design e standard etici e democratici in relazione al controllo, protezione e governo dei dati personali.

In altre parole, il dibattito sulla giusta risposta politica e tecnologica a Covid-19 è solo un microcosmo del più ampio dilemma che le società democratiche devono affrontare: come amplificare la voce dei cittadini nella vita politica che li circonda, senza frenare l’innovazione digitale e arrestando le tentazioni del populismo. C’è anche un grande valore simbolico e geopolitico associato alla risoluzione corretta di questo problema. Né l’approccio autoritario cinese né l’approccio americano guidato dai Big Tech sono completamente compatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali che sono al centro del progetto europeo.

Se l’Europa non riuscirà a risolvere questo problema con tutta l’attenzione e la cura per le libertà civili, ciò comporterà anche la perdita di un’importantissima battaglia internazionale e geopolitica. Invece, l’Europa dovrebbe cogliere questo momento e dimostrare che si può essere innovativi e allo stesso tempo introdurre importanti tecnologie da cui dipende il futuro della nostra società ed economia; ora è il momento di dimostrare che possiamo farlo diversamente. Bisogna non solo accellerare la digitalizzazione, ma dargli anche una direzione, perché si tratta di utilizzare le tecnologie digitali per raggiungere la sostenibilità sia sociale che ambientale e progettare un futuro in cui innovazione sia sinonimo di un reale cambio di paradigma che offre più opportunità per tutti, senza creare nuove diseguaglianze.

Un Patto Sociale sui Dati per l’interesse pubblico

Un campo di battaglia chiave è il controllo sui dati, che sono la materia grezza dell’economia digitale, e il cuore del modello di business delle piattaforme digitale è l’estrazione e la monetizzazione dei dati personali. Questa crisi potrebbe anche accellerare la proposta di un nuovo patto sociale sui dati. E’ chiaro che organizzare e raccogliere dati (ad esempio con i test, tamponi o scambio di dati sanitari) analizzarli (scienza dei dati e impatto economico) e utilizzarli per indirizzare l’azione pubblica è assolutamente fondamentale per far fronte a questa crisi che non è solo sanitaria, ma anche economica, sociale ed ambientale. I dati sono diventati un campo di battaglia cruciale nella guerra contro il Coronavirus, poiché molti paesi hanno utilizzato metodi sofisticati per raccogliere e analizzare i dati per monitorare e gestire la pandemia. Ciò potrebbe portare a un cambiamento nel governo dei dati, aprendo la strada ad un nuovo contratto sociale sui dati e ai suoi potenziali benefici pubblici.

Questo è un tema a me molto caro e sui cui ho lavorato negli scorsi anni con il progetto DECODE e con l’applicazione di una nuova gestione dei dati come bene comune a Barcellona. Abbiamo anche visto che la capacità di usare dati e tecniche di intelligenza artificiale per migliorare i servizi pubblici può dare risultati meravigliosi, ad esempio prendendo decisioni data—driven sul traffico, la raccolta dei rifiuti, la pulizia delle strade, l’educazione e la sanità. Il tutto rispettando autonomia, diritti e privacy. Abbiamo anche tecnologie emergenti decentralizzate come la blockchain e protocolli crittografici in cui l’Europa eccelle, che permettono di coniugare innovazione e sovranità sui dati per i cittadini.

Finora l’Europa ha investito troppo poco nel creare delle alternative proprie nella gestione delle infrastrutture digitali, e il settore pubblico, con poche eccezioni, non ha articolato una vera strategia. In generale, abbiamo bisogno di maggiori investimenti in infrastrutture sicure per un utilizzo di dati anonimi gestiti in maniera decentralizzata, etica e democratica. Un uso intelligente dei dati è di grande interesse pubblico. Ma per riprenderne un controllo democratico, saranno necessarie regole forti per prevenire abusi di potere dovuti al consolidamento dei monopoli e la creazione di nuovi modelli di governance o anche nuove istituzioni come i “data trusts”: ovvero un nuovo patto sui dati per ripensarne il modello di controllo e proprietà, riconoscendo la sovranità digitale dei cittadini, il valore pubblico dei dati, e dunque la redistribuzione della ricchezza prodotta.

L’Italia come motore del cambiamento: il Fondo Nazionale Innovazione

Dobbiamo contribuire a creare una maggiore cultura dell’innovazione e del digitale anche in Italia. Per essere in grado di accelerare lo sviluppo economico del Paese e di dare al contempo una direzione per il futuro, abbiamo bisogno di grossi investimenti pubblici e privati. Finalmente da gennaio anche in Italia abbiamo il nostro Fondo Nazionale Innovazione, seguendo l’esempio di altri paesi europei come la Francia e Germania. Il Fondo ha a disposizione strumenti importanti, come i fondi già attivi per startup early stage per le neo imprese innovative del sud Italia; il fondo di fondi di 300 milioni per allargare il mercato e un fondo dedicato a moltiplicare gli acceleratori di impresa. Poi lanceremo altri fondi per il trasferimento tecnologico fra atenei e imprese, facendo leva sulle grandi imprese a partecipazione pubblica per investire in startups e acquisirne l’innovazione.

Le startups in Italia sono più di 10,000, tutte lamentano una crisi di liquidità e cassa e richiedono misure urgenti, che il governo sta mettendo in campo ad esempio rafforzando i fondi di garanzia sulle erogazioni da parte delle banche, o con possibili nuove risorse e strumenti specifici. È nostro obiettivo sostenere e dinamizzare l’ecosistema, indirizzandolo verso missioni strategiche, come transizione energetica e trasformazione digitale, per supportare il rilancio del Paese post Covid. Abbiamo varato da poco un primo investimento fino a 21 milioni sul Primo Space Fund, operazione che vede come sponsor l’Agenzia Spaziale italiana e la partecipazione di alcune delle principali università italiane.   

È importante inoltre allineare questa nuova capacità finanziaria del fondo pubblico, alle strategie industriali in Italia e in Europa e muoversi in sinergia il Green Deal della Commissione Europea poiché lo sviluppo dell’IA nazionale, cybersecurity e infrastrutture come cloud e 5G sono nuovi settori strategici. E’ quindi un progetto importante che non ha solo una dimensione finanziaria, ma ci può consentire di democratizzare l’economia della conoscenza partendo da educazione, ricerca, sviluppo e territorio.

Per uscire da questa crisi avremo bisogno di un’agenda politica ambiziosa che si faccia carico della disastrosa situazione economica e sociale ma anche adatta a progettare la transizione digitale ed ecologica di cui abbiamo bisogno. L’Italia dovrà avere il coraggio di ripartire con un protagonismo che la proietta nel futuro. Questo progetto non avverrà dall’alto, ma dovrà essere spinto da un movimento dal basso, dalla creazione di nuove alleanze che coinvolgono innovatori, città, lavoratori, sindacati, imprese, accademici, partiti politici, movimenti sociali, e cittadini in generale.

Sul lungo periodo, sono convinta che dovremo ripartire dal basso, dalle città in rete, per promuovere un’ambiziosa politica digitale che mette la partecipazione dei cittadini al centro e che sia al servizio della soluzione delle grandi sfide sociali e ambientali del presente e futuro. Per ripartire avremo bisogno più che mail del coinvolgimento e di una ampia partecipazione dei cittadini e della società civile. Dobbiamo mettere in moto una rivoluzione tecnologica al servizio della transizione ecologica e dobbiamo rendere la tecnologia un diritto e un’opportunità per molti e non un privilegio per pochi.

@francesca_bria | https://www.francescabria.com

Presidente Fondo Nazionale Innovazione, CDP Venture Capital SGR
Honorary Professor, Institute for Innovation and Public Purpose, UCL London
Già Assessore alla tecnologia e innovazione del Comune di Barcellona

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