Summertime, la nuova serie tv tra inganno generazionale e nostalgia di normalità
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Finalmente, nella cosiddetta categoria teen, è arrivata sugli schermi il 29 aprile, per Netflix Italia e già prima in classifica, la serie tv Summertime. Ispirata a Tre metri sopra il cielo di Moccia, romanzo composto nei primi anni novanta del secolo scorso, campione di vendite solo nella prima metà degli anni 2000, come definirla? Probabilmente un “Sapore di sale 2020”.

Se l’amore impossibile tra Step e Babi era dettato dalla pericolosa devianza di lui, che finiva per travolgere pure lei, in Summertime è tutto molto più normalizzato poiché Ale e Summer, i due protagonisti, dopo varie peripezie si innamorano: lui campione di moto in crisi, ribelle e desideroso di dare una svolta ad una vita, che non lo soddisfa, e un unico grande tomento un padre stressante e frustrante. Lei è Summer, giovane di colore, nata e vissuta in Italia – la cittadinanza viene dichiarata subito, a beneficio di Salvini – bravissima a scuola, non ama le feste, odia l’estate a dispetto del suo nome e, quando arriva giugno, preferisce lavorare e rifiuta così omologanti riti stagionali. Un’estate indimenticabile vedrà cambiare i ragazzi e sbocciare un amore, fra amici, conoscenti – come Sofia, Dario, Edo e Blue – che compongono un quadro delle relazioni e degli amori giovanili e dei sentimenti adolescenziali pieni di quel senso di rivalsa e riconquista del mondo che li circonda, così puro ma così complicato al tempo stesso.

Come coniugare i colori caldi e variegati, le atmosfere suadenti delle meravigliose notti d’estate, che danno forma all’estetica dell’adolescenza e post-adolescenza 2020, con la realtà italiana (forse planetaria) ai tempi del coronavirus? Come poter accogliere una sceneggiatura già non molto robusta, con dialoghi che a volte appaiono deboli e superficiali, e ormai obsoleti, quando ormai la sceneggiatura delle vite di questi adolescenti e postadolescenti la ha riscritta il lockdown? Come sopportare la fotografia luminosa dai toni esotici, che appaga l’occhio e sostiene la location marittima ed estiva della riviera romagnola che fa da sfondo alle vicende dei protagonisti di questo nuovo teen drama, quando per mesi si è rimasti “tombati” – per dirla con Zerocalcare- in casa? E poi forse meglio tacere sulla colonna sonora che è un mix di nostalgia e nevralgia atemporale, buono per giovani e anziani.

Summertime sarebbe stato prodotto perfetto se non ci fosse stata la Fase 1 e la Fase 2 nelle vite di quegli adolescenti e postadolescenti, ormai ben consapevoli che con il saliscendi della curva dei contagi non solo l’estate, ma le loro vite sono mutate. Della società italiana, che cambia, nella sua multiculturalità e nelle aperture sociali che vanno creandosi nel tempo attuale, viene dato al pubblico uno spaccato delle dinamiche socio-familiari odierne, fatte anche di difficoltà lavorative oltreché legate alla sfera degli affetti e alla loro complessa gestione, ma tutto ottimamente rappresentato fino a quattro mesi fa.

Oggi l’Italia e gli italiani sono altri: non ci si può ingannare, non si possono ingannare giovani e giovanissimi con la serie Tv ispirate a Moccia. L’emotività che regalavano le estati, in cui a una certa età appare un obbligo innamorarsi, seppur è un classico che cambia nei modi, da generazione a generazione, di sicuro non muta nella sua entità per quanto attiene alla passione, alle delusioni nonché alle trepidanti pulsioni del crescere, si tramuta invece in una pericolosa e dolorosa constatazione dell’impossibilità. Summertime si è trasformata rapidamente in un’operazione nostalgia, che vale per i genitori degli spettatori adolescenti, a pandemia in corso (come se gli italiani fossero tutti protagonisti dello sketch con cui il comico americano Andy Samberg nel 2015 diede il via alla sua conduzione degli Emmy e nel quale veniva ridicolizzato dagli amici perché non conosceva nemmeno una delle serie tv di moda in quel periodo decidendo così di chiudersi in un bunker per un anno e guardare ogni singolo episodio esistente trasmesso su Netflix, HBO o Prime Video), e per gli adolescenti e postadolescenti, durante il lockdown la serie tv risulta più croce che delizia.

In questo futuro affollato di scadenze e di luci in fondo al tunnel di cui ha scritto David Grossman, fra decreti e ipotesi di Fase 2, proprio gli adolescenti si sono adeguati per primi alla situazione con la didattica a distanza senza probabilmente aver perso la forza trasgressiva della loro mancata socialità in una sorta di condizione di vita già piuttosto familiare. In questo periodo gli adulti hanno cambiato il loro modo di lavorare, si è modificato il modo di vivere le relazioni e se si è parlato spesso degli anziani e di quanto questo isolamento forzato non apportasse benefici al loro bisogno di vicinanza.

Pochissimo o poco spazio mediatico e sociale hanno avuto i ragazzi e le ragazze chiusi in camera con lo smartphone a fare lezioni on line, annoiati e ancor di più vittime rispetto agli altri. Gli adolescenti si trovano in una fase dello sviluppo in cui sono alla ricerca di una loro identità, iniziano a prendere le distanze dalle figure genitoriali, a imporre il loro punto di vista e a pretendere maggiore autonomia e indipendenza. Stanno affrontando una fase delicatissima della loro esistenza, nel pieno del cambiamento su tanti fronti, con tanti brividi e tante emozioni vissute all’estremo. E proprio ora che inizia il loro graduale autodeterminarsi, ecco che questo virus li costringe a star chiusi tra le quattro mura con tutta la loro famiglia, che difficilmente riesce a comprendere il turbinio di pulsioni spesso disorganizzate.

E cosa si fa per loro? Si propina Summertime! Nulla contro la serie Tv, ma tutto contro la tempistica! Mentre si obbligano i nostri ragazzi a restare a casa rispettando un decreto che esprime un dovere sociale necessario e inevitabile, si dovrebbe contestualmente prendere consapevolezza che stiamo chiedendo loro di rinunciare ad una cosa che non ha precedenti. Nessun adolescente, in nessuna epoca storica, ha mai sperimentato o vissuto una situazione anche minimamente simile a quella attuale. Anche nei periodi più bui, come può essere una guerra o un conflitto non si è mai smesso di condividere le esperienze e i racconti del proprio vissuto. Ed è compito della politica occuparsi di loro, comprendere e decifrare in una sorta di utopia minimalista che occupa uno spazio psicologico che non impone modelli dall’esterno, ma che sappia farsi garante di un cambiamento interiore che passa, tra l’altro, dal rispetto degli altri.

Forse c’è un modo per aiutare questi adolescenti e giovani ad affrontare la situazione, forse c’è una soluzione, fra tanti che parlano e disegnano ipotesi, più o meno sensate-insensate; forse non rimane che ascoltarli, ascoltare questi ragazzi e ragazze, questi giovani e giovanissimi e da “vittime” provare a farli divenire protagonisti del nostro e del loro futuro. Un lavoro anzitutto di coscienza, nel doppio senso di consapevolezza e moralità, che può indicare la strada verso un mondo più desiderabile in un percorso che ci conduca – superando le facili interpretazioni – nel complesso configurare e finalmente immaginare un domani grazie al loro contributo.

Maura Locantore è segretaria provinciale del Pd di Potenza

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