Alfabetizzazione digitale di massa: l’unica via per contenere la disoccupazione
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La quarantena ha reso chiaro, tra le altre cose, che esiste tutta una serie di professioni “non necessarie”. Attività che magari ci fanno comodo in tempi di grande consumismo, ma di cui possiamo fare a meno senza troppi problemi. E, con l’inevitabile crisi economica che colpirà una buona fetta della popolazione, saranno sicuramente le prime cose a cui si rinuncerà. Si aprirà quindi un circolo vizioso, nel quale le persone che hanno già perso il lavoro limiteranno le spese inutili, annullando opportunità di lavoro per altre persone.

Questo esercito di disoccupati rischia di non poter trovare più un lavoro, proprio perché la domanda per la loro attività si ridurrà drasticamente. Non si tratterà di aspettare qualche mese e sperare in un nuova assunzione, proprio perché il lavoro che facevano è destinato a scomparire. Limitarsi a dare un reddito di cittadinanza a queste persone chiedendo loro di trovarsi un lavoro sarebbe assurdo, proprio perché non sarà proprio più possibile per loro trovare un lavoro come quello che hanno sempre svolto finora.

L’unica soluzione, per dare un futuro a queste persone, è aiutarle a migrare verso altre professioni. Professioni che, ovviamente, devono essere a prova di automazione. Si tratta di compiti fortemente legati all’informatica: non parliamo necessariamente di mestieri a alta specializzazione, è chiaro che non tutti possono essere programmatori o sistemisti, ma anche i lavori negli uffici e nelle fabbriche verranno man mano svolti sempre più davanti a un computer. E, magari, molti compiti verranno svolti da casa, quindi esclusivamente con l’utilizzo di un computer.

Il problema è l’elevato livello di analfabetismo informatico della popolazione italiana. Questo non vale soltanto per le generazioni più anziane, che pur avendo il tempo di formare delle abilità digitali negli ultimi decenni hanno evitato di farlo perché non adeguatamente informati sull’importanza della tecnologia per il futuro del lavoro. Vale anche per i più giovani, che non hanno mai imparato a usare correttamente gli strumenti informatici per mancanza di un programma scolastico ben definito. Negli ultimi decenni l’informatica nelle scuole è stata condotta, tranne in casi di docenti particolarmente illuminati, semplicemente parcheggiando gli studenti davanti ai computer, nella convinzione che fossero “nativi digitali”, e sapessero quindi utilizzare i computer per un dono di natura. In parte questa convinzione era rinforzata dal fatto che, effettivamente, alcuni studenti erano in grado i utilizzare i computer meglio dei docenti, ma ovviamente questo non significa che sapessero usarli davvero bene.

Nel nostro paese la formazione delle competenze digitali è stata quindi lasciata in mano alle singole persone: chi, per motivi personali, era interessato ai computer imparava a utilizzarli da solo, senza un aiuto concreto e strutturato dello Stato. Questa cosa deve essere cambiata, e in fretta. Perché gli italiani oggi sanno aprire un browser e andare su Facebook, giocare online con altri utenti, o montare video. Ma in pochi sanno usare adeguatamente un foglio di calcolo, un database, le email, e persino programmi di videoscrittura e impaginazione. E appena una assoluta minoranza è in grado i comprendere i concetti di base della sicurezza informatica, per proteggere adeguatamente i dati sensibili.

Ma per trovare un lavoro, dopo la scomparsa di molte figure professionali dovuta alle conseguenze economiche del Covid, sarà assolutamente necessario avere queste competenze.

Una politica responsabile per il lavoro deve concentrarsi proprio nell’alfabetizzazione digitale di massa dei cittadini. Perché è chiaro che i lavori che non prevedono l’utilizzo di un computer andranno a scomparire nei prossimi anni, e se appena il 36% degli italiani in età lavorativa è capace di usare correttamente un computer e la rete, è chiaro che stiamo rischiando una esplosione del numero di disoccupati cronico. La crisi economica dovuta al Covid19 potrebbe velocizzare la cosa da un decennio a pochi anni. È quindi fondamentale che lo Stato agisca subito. Ed è necessario agire su due fronti.

Il primo fronte, che è anche il meno oneroso, è quello delle scuole: serve un programma unificato a livello nazionale, che ponga l’attenzione sull’utilizzo pratico degli strumenti informatici per risolvere problemi quotidiani.

Naturalmente, è prima necessaria una preparazione dei docenti. Non basta dare un bel libro di testo in mano ai docenti e chiedere loro di insegnare: l’informatica è una materia pratica, gli insegnanti devono essere i primi a conoscere gli strumenti che usano, e a capire che il computer non è il fine, ma un mezzo per insegnare. E sarebbe bene integrare gli strumenti informatici nelle lezioni di ogni materia. Corsi di formazione informatica degli insegnanti esistono già, ma devono diventare obbligatori a rotazione, in modo da riuscire nell’arco di pochi anni a fornire competenze digitali per l’insegnamento a tutti i docenti italiani. Questo deve essere fatto a partire dalle scuole secondarie di secondo grado, poi con le scuole secondarie di primo grado, e infine per i docenti delle scuole primarie.

Il secondo fronte consiste nelle persone disoccupate. Le persone che hanno svolto o svolgono mestieri a bassa creatività (come i lavori manuali) e generalmente non ritenuti fondamentali in caso di una futura quarantena (inclusi liberi professionisti e freelance) devono poter ricevere una formazione pratica per l’utilizzo dei computer nel mondo del lavoro. Un buon modello è rappresentato dall’ECDL, la “patente europea del computer”. Si può considerare adeguatamente alfabetizzato un cittadino che può dimostrare di avere almeno le competenze di un “ECDL standard”, in particolare i moduli:

Computer Essentials
Word processing
Spreadsheets
Online essentials
It Security
Information Literacy
Online collaboration

Questi moduli sono fondamentali perché costituiscono le basi, dalle quali un lavoratore può poi procedere autonomamente per imparare altre competenze mirate al tipo di lavoro che desidera fare.

Questa formazione è onerosa in termini economici per lo Stato, e deve essere condotta a scaglioni, possibilmente basati sull’età. Si possono, per esempio, considerare i gruppi 18-35, 36-50, e 50-65.

Trattandosi di un investimento sul futuro delle persone, conviene tenere per ultima la classe di età più anziana, perché si tratta di persone comunque vicine al pensionamento e presumibilmente con una carriera alle spalle che, tramite la rete di conoscenze sviluppate nei decenni precedenti, permette un più facile reinserimento nel mondo del lavoro.

Il gruppo dei più giovani merita il secondo posto, in termini di priorità, perché si tratta di persone che probabilmente non hanno ancora una famiglia da mantenere, e che possono appoggiarsi temporaneamente ai propri genitori per finanziare la formazione di nuove competenze.

La prima priorità dello Stato deve essere la formazione digitale dei lavoratori dai 36 ai 50 anni, perché queste persone hanno probabilmente appena iniziato a costruire una famiglia, e hanno bisogno di sviluppare competenze che garantiscano una permanenza di molti decenni nel mondo del lavoro.

L’alfabetizzazione digitale di massa dei cittadini permette non soltanto ai lavoratori in difficoltà di tornare a essere richiesti nel mondo del lavoro italiano, ma permetterebbe anche all’intero sistema produttivo e amministrativo italiano di essere competitivo a livello internazionale, perché i lavoratori sarebbero in grado di produrre di più con minore spreco di tempo e risorse. Rendendo quindi il Paese più appetibile a investimenti esteri, fondamentali per dare nuova linfa al welfare dello Stato e alle aziende stesse.


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