Fianco a fianco, per migliorare la situazione in Libia
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Ieri abbiamo votato il rinnovo delle missioni internazionali, inclusa quella a sostegno della Guardia Costiera libica.

Partiamo da una premessa: la nostra priorità sulla Libia deve essere quella di svuotare i campi con dei corridoi umanitari europei, e far gestire i flussi migratori direttamente alle organizzazioni internazionali, non ai trafficanti e alle milizie locali. Dobbiamo anche evitare che la gente muoia in mare, senza che l’alternativa sia morire di torture nei lager libici.

Per ottenere questo, c’è bisogno di stabilizzare la Libia, che prima o poi dovrà pacificarsi e tornare a fare quello che fa ogni Stato: presidiare i propri confini, collaborare con le organizzazioni internazionali e garantire l’ordine.

Questa è la nostra strategia, iniziata con il famoso memorandum del 2017.

Con quello abbiamo ottenuto un aumento dei controlli in alcuni campi in Libia, con l’ingresso di ONG e ONU. E poi si è lavorato ad un miglioramento nel controllo dei confini, dai quali oltre ai migranti diretti verso l’Europa, transitavano anche petrolio ed armi di contrabbando, che destabilizzavano ancora di più la regione.

Era l’inizio del percorso di normalizzazione, e questo primo passo ci richiedeva di collaborare con gli unici interlocutori possibili sul territorio, compresa la Guardia Costiera libica, nonostante le criticità del caso.

Purtroppo però nel frattempo si è riaccesa la guerra civile, con ingerenze pesanti di Turchia ed Egitto a favore del generale Haftar.

Il percorso di normalizzazione si è quindi interrotto, e la situazione si è congelata.

La verità è che oggi ritirare il supporto alla guardia costiera libica significa anche togliere supporto a Serraj, facendo ripartire dunque anche il traffico di armi e petrolio, e creando un ulteriore vuoto di potere a favore di Haftar e della Turchia che già controlla il confine orientale dell’Europa e lo usa come arma di ricatto geopolitico.

Certo, la Guardia Costiera è coinvolta nella gestione dei campi. Ma sia i campi in Libia che i trafficanti esistono da ben prima del memorandum e della missione. E se smettiamo di occuparcene purtroppo non spariscono: perdiamo solo quel minimo controllo che abbiamo oggi.

Lavarcene le mani ci aiuta a non vedere più il problema, non a risolverlo. E ha la conseguenza di mettere gravemente a rischio i migranti che oggi sono rinchiusi nei campi.

E quindi?

La sfida non è quindi quella di dire: “la Libia è un buco nero, non vogliamo averci a che fare” e lasciare da soli sia le autorità locali che i migranti là bloccati.

La sfida è quella di rilanciare il percorso di normalizzazione, che anche per colpa dell’assenza totale sul dossier del governo precedente era stato interrotto.

Quella che era stata la decisione dell’Assemblea Nazionale del PD resta la via maestra da seguire

L’Ordine del Giorno di Giuditta Pini approvato dall’Assemblea PD aveva chiesto tre cose:

“ (…) una revisione radicale e complessiva del Memorandum Italia-Libia.

(…) il superamento del ruolo della guardia costiera libica secondo le indicazioni delle Nazioni Unite e del consiglio d’Europa.

(…) un’evacuazione urgente e completa dei campi.”

Per ottenere questi risultati e per poter vedere cambiamento radicale della gestione dei migranti in Libia, serve un lavoro serio e paziente. E serve un interlocutore stabile.

Non è un lavoro facile, ma ne abbiamo messo le basi proprio ieri.

Nel testo approvato ieri infatti si chiede infatti sia che il governo modiffichi il memorandum entro la fine dell’anno, sia che a partire dal 2021 non si finanzi più la guardia costiera, lavorando invece con interlocutori più affidabili che nel frattempo si sono formati ed istituzionalizzati maggiormente, come la Marina Libica.

Infine, dopo la visita della ministra Lamorgese ieri a Tripoli, la priorità è attivare dei corridoi umanitari europei per svuotare i campi.

Siamo tutti dalla stessa parte, lavoriamo fianco a fianco.

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