“Sprecare sempre meno cibo: il futuro passa da qui”. Colloquio con Andrea Segrè
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Oltre un miliardo di tonnellate, un terzo del cibo sulla terra, sprecato ogni anno senza neanche arrivare in tavola. A cui si aggiunge lo spreco domestico, che solo in Italia, secondo i dati di Diari di Famiglia Distal – Waste Watcher, pesa 529,9 g ogni settimana per ciascun cittadino, pari a oltre 25 kg di cibo gettati ogni anno. Tutto questo, mentre al mondo oltre 820 milioni di persone soffrono la fame: il 10,8% della popolazione mondiale.

Sono i numeri allarmanti dello spreco alimentare, che oggi tornano al centro in occasione della prima giornata internazionale della Consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari (International Day of Awareness for Food losses and waste), istituita a fine 2019 dalle Nazioni Unite.

Ne parliamo con Andrea Segrè, ordinario di Politica Agraria internazionale e comparata presso l’Università degli Studi di Bologna e fondatore della campagna Spreco Zero, unico italiano invitato a intervenire nell’evento digitale e globale a cura della FAO previsto per la Giornata.

Professore, come nasce questa giornata e quale è il suo significato?

In effetti questa prima giornata internazionale è una sorta di punto di arrivo e di partenza di un percorso che conta ormai molti anni, e che in qualche modo ci ha visti anche protagonisti a partire dalla fine degli anni ’90, quando con l’Università di Bologna siamo partiti con questo piccolo progetto, il Last Minute Market, che ha messo insieme studenti e ricercatori ponendosi un problema che nessuno si poneva: come ridurre gli sprechi alimentari andando a intervenire sui vari anelli della filiera, sapendo che lo spreco determina non solo lo sperpero di cibo, ma anche di risorse naturali come acqua, terra ed energia. Da lì siamo partiti per portare avanti tante iniziative, come  la campagna al Parlamento europeo del 2010, che ha portato al primo atto internazionale con il documento che portammo nella commissione Agricoltura, allora guidata da Paolo De Castro, e il rapporto  del 2012 in cui chiedemmo di dimezzare lo spreco. Dunque il percorso che ha potato l’Onu a istituire questa Giornata internazionale viene da lontano, ma vuol dire che il tema c’era e che, quindi, il mondo se l’è posto.

Questa prima Giornata della Consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari cade in un anno particolarissimo come questo 2020, con la pandemia che ha spostato tutte le nostre priorità. Che effetti ha avuto il Covid sulla questione dello spreco del cibo?

C’è da dire che sullo spreco gli effetti sono stati positivi, nel senso che tutto quello che noi da tempo diciamo è che il recupero a fini solidali, che facciamo da anni con  Last Minute Market, è molto importante, ma non è la soluzione del problema. La vera soluzione è la prevenzione, e cioè agire prima che lo spreco avvenga, attraverso l’educazione alimentare. Una ricerca sull’impatto del Covid sullo spreco alimentare nelle famiglie Italiane, condotta dal DISTAL (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari di Bologna), ha mostrato che il 51,6% degli italiani ha sprecato meno cibo durante la quarantena rispetto al periodo precedente. Quello che dirò oggi alla conferenza internazionale è che dobbiamo tornare all’educazione alimentare per far capire fin da piccoli che il cibo ha valore. Non solo non va sprecato, ma è importante produrre bene per l’ambiente e mangiare bene per la salute. L’educazione alimentare deve essere inserita nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, una scelta che avrebbe grande valore perché il cibo  vuol dire stagionalità, convivialità, e porta anche all’integrazione delle persone. Dunque il futuro delle nostre società secondo me passa da lì, trattare lo spreco è l’occasione per andare verso una società sostenibile, di cui il cibo è una componente importante.

È importante il comportamento di ciascuno di noi, ma un ruolo importante lo giocano anche le filiere produttive. Non c’è anche lì un tema di cultura economica da cambiare?

C’è un problema di cultura economica certo, ma in realtà le imprese producono in modo sostenibile se noi consumatori glielo chiediamo con forza, e cioè se andiamo ad acquistare i prodotti che contengono una dose importante di etica e di trasparenza, tutti indicatori che si possono misurare. Dunque ci deve essere una nuova alleanza tra chi produce, chi trasforma e chi consuma, in modo che si vada nella stessa direzione, perché le imprese vogliono vendere, se non acquistiamo perché sappiamo che dietro c’è il lavoro nero o un sistema non trasparente, gli togliamo il mercato, dunque c’è una consapevolezza che deve crescere.

A proposito di consumo sostenibile, l’opinione di alcuni è che in futuro dovremo orientarci si più verso le proteine vegetali che verso quelle animali.

Io credo che noi italiani abbiamo una grande fortuna, di cui siamo anche un po’ inconsapevoli.  Abbiamo la dieta sostenibile per eccellenza, che si chiama dieta mediterranea, riconosciuta dieci anni fa patrimonio immateriale dall’Unesco. È una dieta che è uno stile di vita, poi ognuno può modificarlo in funzione della sua etica e delle sue esigenze fisiche, ma quella piramide è un equilibrio che ti porta a rispettare l’ambiente e dunque a produrre in modo sostenibile. Ma il tema è come produci: se la produzione è sostenibile, avrai un consumo sostenibile. Noi dovremmo essere consapevoli che abbiamo già un regime alimentare sostenibile, che andrebbe applicato come stile di vita, cioè includendo anche il movimento. Invece gli studi ci dicono che gli italiani non praticano abbastanza la dieta mediterranea. Eppure qualche giorno abbiamo organizzato un webinar che ha investigato proprio il rapporto tra dieta mediterranea e spreco, perché questa dieta non è solo sostenibile, ma è anche quella che riduce maggiormente lo sperpero di cibo.

Dopo la Giornata di oggi, quali azioni concrete vi aspettate dai governi?

Intanto è importane che ci sia questa consapevolezza a livello globale. C’è da dire che l’Italia non è indietro, in questi anni ha fatto diverse azioni, ma guardando i dati c’è ancora tanto da fare. Allora guardando alla filiera, che va dalla produzione al consumo, la parola chiave è innovazione. Dobbiamo fare ricerca e rendere più efficienti i sistemi soprattutto all’inizio del filiera, per perdere meno prodotto. In secondo luogo a valle, nei paesi più sviluppati come il nostro il tema è lo spreco domestico, il 60/70% dello spreco totale. E torniamo a quello che dicevamo prima: l’educazione. Perché il cibo che butti a casa non si può recupera, finisce nei bidono aumentando di rifiuti. Dunque io mi aspetto che questa che innovazione, spreco a casa nostra ed educazione siano le parole chiave per riuscire almeno a ridurre della metà lo spreco entro il 2020, che è l’obiettivo dell’agenda Onu per un futuro sostenibile.

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