Tra zolfo e inchiostro, a ciascuno il suo maestro
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«Considero il potere, non già alcunché di diabolico, ma di ottuso e avversario della vera libertà dell’uomo. Sono tuttavia indotto a lottare perché, all’interno del potere, si abbiano ricambi, possibilità di alternative, novità, una migliore organizzazione della giustizia, una libertà sempre più ampia, ragion per cui mi impegno quando c’è una battaglia da combattere»                                                                                                                                                                                                                       Sciascia, La Sicilia come metafora

 

A Racalmuto, secondo l’etimologia araba villaggio morto, cento anni fa nasceva l’appartato e diffidente scrittore, illuminista alla rovescia come lo definì Moravia, dallo strano cognome composto di due sillabe ripetute immutabilmente una dopo l’altra: Sciascia.

Ed oggi, dopo che tutto il mondo ha assistito al più grande attacco contemporaneo alla democrazia, è davvero indispensabile tornare a rileggere, ritrovando una certa tensione morale e civile, l’autore che imbastiva il suo pensiero e la sua azione intorno ad alcuni temi cardine: la morte, la giustizia, il potere e la violenza. Essi sono l’aspetto fondante di tutto l’impegno sciasciano e l’origine prima da cui s’irradiano le sue riflessioni (dagli esordi fino ai testi terminali della fine degli anni Ottanta), mentre ciò che cambia, nel tempo e a partire dalla metà degli anni Sessanta, è rappresentato dalla mutazione antropologica pasoliniana e dalla radicale evoluzione societaria che conduceva verso l’avvilente appiattimento culturale generato dal mondo delle merci capitalista nonchè dalla messa in crisi sia della letteratura in quanto tale – trasformata sempre più in industria – sia del ruolo stesso che l’intellettuale poteva ricoprire all’interno di questa nuova società.

Il potere con cui il singolo veniva in contatto nella vita quotidiana da minuscolo è divenuto maiuscolo, da umano e individuabile è asceso a una dimensione metafisica e insondabile, da fenomeno circoscrivibile e mentalmente limitabile a un tutto pervasivo e transnazionale. Questo nuovo Potere, dunque, si rivolge agli uomini con nuova e smisurata violenza, con una repressione imprevedibile, oscura, mirata a garantire la perfetta omologazione culturale e d’opinione per scongiurare qualsivoglia aspetto sovversivo.

La particolarità di Sciascia è nell’essersi apparentemente messo in disparte rispetto alle proprie opere, mascherando la componente introspettiva e proponendo una parte di sé soprattutto attraverso le idee; questo ha permesso una chiarezza di linguaggio impeccabile, un lavorio della ragione incessante anche negli inevitabili momenti di contraddizione, ricavando nella coesistenza tra opposte tensioni e pulsioni, anche nelle ibridazioni letterarie, la propria forza umana e la dignità della lotta con il potere.

Nato nel mondo delle zolfare, il Maestro anti-Cuore de Le parrocchie di Regalpetra, affronta e tenta di sbriciolare la roccia delle mistificazioni cercando la ricchezza della autenticità nell’animazione dell’individuo sensiente in cui può risiede l’ostinata difesa della libertà dell’uomo, con l’idea combattiva dell’esercizio della scrittura, costringendo il potere allo scontro con le sue pagine di inchiostro che irradiano e dissolvono ogni impostura.

Pochi autori sono riusciti ad attirarsi tante ostilità, si ricordi la questione incresciosa sull’antimafia che indusse alcuni polemisti frettolosi a sollevare quasi un dubbio di connivenza mafiosa e che si potrebbe definire un’amara apoteosi della vita di un uomo interamente spesa per combattere qualsiasi potere occulto, oltre i tribunali e la polizia, ma ricorrendo a quella coerenza morale sconosciuta in Sicilia come nel resto d’Italia.

E cosa allora ha raccontato lo scrittore siciliano nelle sue opere?

Sempre un’identica storia, la substantia della condizione umana: il conflitto tra l’uomo e il potere. Sciascia inviava i suoi personaggi, accompagnati dai sussidiari del sorriso, del dolore, dell’ironia, nel cuore oscuro delle cose lasciando che penetrassero in esso con coraggio cosicché la decifrazione del male avvenisse per sobillazione razionale, ma anche per una intensa pietà.

L’inchiostro che Sciascia lascia sulla pagina ha il respiro del memoriale, del referto notarile, del giallo in cui storia e fantasia si confondono nella plasticità e leggerezza del dettato, mostrando l’assoluta purezza dell’autore.

Anche per questo il discorso su Sciascia, in Italia e in Europa, è tutt’altro che esaurito e ancora a distanza di decenni, come tutti i grandi, risulta necessaria la rilettura dei suoi testi per comprendere quel secondo Novecento da non liquidare sotto una dicitura di piombo: A ciascuno il suo Maestro per evitare di non affogare nel mare dove può nuotare libero il conformismo del potere.


Maura Locantore, Universitè de Poitiers

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