Pensare la riforma secondo un nuovo modello di Pubblica Amministrazione
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L’Unione Europea ci chiede di riformare la Pubblica Amministrazione. Uno Stato moderno non può rinunciare, al di là di un sistema d’imprese tarato sull’innovazione e le tendenze del mercato, a una Pubblica Amministrazione altrettanto produttiva e informata alle mutevoli esigenze della cittadinanza. Il Governo ha messo la riforma della PA (mediante digitalizzazione) al primo punto del suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la cui proposta destinata alle valutazioni della Camera dei Deputati e del Senato è stata approvata dal Consiglio dei Ministri. La riforma del sistema amministrativo italiano, da sempre rimandata o sottoposta ad adeguamenti correttivi e mai strutturali, non può essere liquidata attraverso la semplicistica articolazione di strutture parallele con funzioni assimilabili. Riformare il sistema della pubblica amministrazione significa alimentare e sostenere un processo rigenerativo capace di costruire e disseminare un nuovo paradigma funzionale e organizzativo.

Ogni riforma, tuttavia, per essere efficacemente finalizzata, deve presupporre un’adeguata conoscenza delle criticità di cui soffre il sistema, diversamente sarebbero replicati interventi parziali e non sufficienti a determinare un significativo cambio di traiettoria. Quello della PA risulta essere l’unico settore nel quale l’offerta è disallineata dalla domanda, procedendo su una direttrice codificata che spesso non incontra l’ascolto dell’audience civica. La riforma deve dotarsi, per questo, di strumenti in grado di assegnare un nuovo imprimatur culturale al ruolo della pubblica amministrazione. È da questo “ciclopico” presupposto che occorre partire per affidare alla nuova normazione strumenti adeguati e una visione capace di mettere in discussione i modelli ereditati dal passato.

Se da una parte è vero che la popolazione produttiva è anziana, con meno di 5 giovani con meno di 30 anni ogni mille impiegati pubblici, che la composizione anagrafica della PA indica una età media di 55 anni con il 24% di lavoratori con più di 60 anni, che esiste (inutile negarcelo) un tangibile squilibrio di genere a scapito della componente femminile, è vero anche che il modello di organizzazione di lavoro non consente alle competenze di esprimersi al meglio e di integrarsi fuori dalle divisioni orizzontali di servizio e da quelle verticali di gerarchia. La qual cosa conduce verso una frammentazione burocratica e un conflitto di attribuzioni. Dunque, occorre preliminarmente, a mio avviso, rivedere quella che è la mission della Pubblica Amministrazione, quelli che sono i suoi compiti all’interno di uno scenario che chiede a gran voce un cambio di ruolo e la chiamata a una differente responsabilità. Cambiano le esigenze dei cittadini, mutano le loro percezioni, cambia nel complesso il rapporto con la Pubblica Amministrazione, che non è una monade in un tempo liquido di trasformazioni sociali, è necessario pensare a una PA con il compito di prendersi cura dei problemi del cittadino, offrendogli servizi, progetti, indirizzi necessari a rispondere ai suoi bisogni: ripensata, riqualificata, riordinata in questa ottica la Pubblica Amministrazione, sarà più facile immaginare la giusta organizzazione del lavoro. Oggi
siamo ancora a un modello pre-taylorista, quello, per intenderci, che non si è evoluto
attraverso la visione fordista e quella successiva, avviata sul finire del ‘900, tarata sulle
particolari e irripetibili esigenze dell’utente.

Alla luce delle problematiche esistenti, che evidentemente non hanno più il carattere
della contingenza, occorre introdurre una serie di misure che non si limitino a riformare
un tessuto di regole, cronicamente rarefatto, ma abbiano anzitutto la forza di progettare e mettere a regime un nuovo modello culturale: è questo che oggi dobbiamo chiedere alla riforma della PA. Riformare la PA partendo dai suoi schemi costitutivi, provocare – insomma – un cambiamento epocale.

1. Per fare questo è necessario che le organizzazioni ministeriali e territoriali, dunque i diversi livelli di governo, diano luogo a una integrazione per filiera, muovendosi verso gradi e tipologie uniformi (assimilabili) di obiettivi. Ciò consentirebbe di realizzare una geografia organica di enti e di strutture, anziché costringere le amministrazioni a una vita indipendente, che significa il più delle volte anche un destino indipendente e proprio. Ogni organizzazione risponde a un sistema di indicatori misurabili e condivisi, che consente al cittadino di valutare concretamente l’azione dell’ente, eventualmente di contribuire a riorientarla, anche rispetto al disegno politico cui la stessa azione è sottesa.

2. Un altro aspetto centrale attiene all’attenzione dedicata alle persone: non c’è innovazione senza una incessante azione di formazione del personale. Il merito e il continuo aggiornamento devono rappresentare il criterio costante di engagement di competenze da parte della PA, nonché lo strumento attraverso il quale la PA dialoga con
l’esterno, cogliendo ogni opportunità legata ad interlocuzioni con imprese, cittadini, associazioni e partner europei. Per questo è pensabile prevedere la destinazione alla formazione dell’1% della massa salariale, nell’obiettivo di dare una prospettiva
progettuale e concreta a una fase strategica del rapporto PA – cittadini. Occorre ripensare e ricostruire la relazione tra cittadino e dipendente a partire dai suoi presupposti funzionali. Il dipendente fa proprio il problema che il cittadino gli sottopone e che lui “certifica”, senza determinare falle di deresponsabilizzazione tra uffici che spesso indirizzano le procedure verso “terre di nessuno” o, ancor peggio, le “pietrificano” a causa della cd. “burocrazia difensiva” (o “paura della firma”).

3. C’è poi la materia, anch’essa complessa ma prioritaria, legata alla organizzazione
del lavoro, alla necessità di garantire in costanza una stretta corrispondenza tra incrementi retributivi e di produttività: valorizzare non significa incentivare senza convergere nella qualità, nel ruolo e nelle caratteristiche del lavoro.

4. Riforma dei concorsi e attenzione ai profili professionali. Il percorso di riforma deve orientare verso la valorizzazione dei profili in grado di soddisfare le mutate esigenze dei rapporti e dei processi di lavoro: significa proiettare la PA verso le competenze trasversali, le soft skills che si acquisiscono nel corso della vita professionale e personale, dunque tarare sempre più le selezioni concorsuali sulle capacità di diventare problem-solver innovativi, tutt’altro che nozionistiche, di lavorare in team, di adattarsi flessibilmente a condizioni e contesti di lavoro, di gestire lo stress, di valutare il bene comune e lo spazio pubblico, infine di “prendere in carico” problemi e persone, che significa finalizzare il lavoro all’esclusivo servizio e interesse legittimo del cittadino.

5. Accompagnamento delle amministrazioni più piccole sulla strada della semplificazione e della qualità dei servizi (task force dedicate). Il nostro Paese è fatto di una miriade di piccoli Comuni sprovvisti delle competenze tecniche necessarie a svolgere alcune funzioni o processi amministrativi. Occorre superare la verticalità gerarchica integrando team realizzativi attraverso competenze associate a unità di servizio differenti e l’intervento di un tutor, almeno all’inizio, il quale solleciti i soggetti coinvolti al confronto e alla integrazione delle conoscenze. Le task force rispondono a un responsabile di progetto il quale sia chiamato a connettere, prima ancora che le procedure, i profili, le esperienze, le professionalità, le responsabilità, le competenze adeguate e dedicate.

6. Un aspetto cruciale, strettamente connesso ai precedenti, riguarda l’ascolto di tutta
la società e, in particolare, il dialogo con il Terzo Settore e le organizzazioni di cittadinanza attiva, nell’idea che un’Amministrazione è tanto più integrata e percepita quanto più valorizzi il protagonismo del cittadino: questo assioma deve rappresentare la stella polare di un processo innovativo che riformi il sistema complesso delle PA attorno all’ascolto e alla partecipazione e sia capace di riconoscere nel cittadino una persona che vive in un luogo fatto di attese e di relazioni. È da qui che un percorso lungimirante di riforma deve muoversi e scegliere la giusta articolazione: prima ancora che prefigurare innovazioni e rivoluzioni digitali, prima di caldeggiare rinnovamenti delle piante organiche, prima di invocare processi di semplificazione, snellimento e trasparenza, di efficientamento dell’azione amministrativa, prima di tracciare un indirizzo sulle modalità e sui tempi di lavoro, occorre chiarire la mission della PA oggi, definirne ruolo e funzioni all’interno di un sistema sociale, di un sistema economico e di un sistema Paese stabili, competitivi e in grado fare la propria parte a livello
internazionale.

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