Ecosistema della menzogna e crisi delle democrazie
E

Dovremmo essere sorpresi della sorpresa. L’assalto al Campidoglio non è il colpo di stato, è un esito di un vero colpo di stato iniziato anche ben prima del 4 novembre. Con l’inizio della campagna elettorale presidenziale quando Donald Trump annunciò che le elezioni sarebbero state truccate a favore dei Democratici e tentò di ostacolare il voto per posta. Quello che è accaduto è il frutto dell’«ecosistema della menzogna» che si è consolidato: con Trump che lo ha alimentato, il Partito Repubblicano che lo ha cavalcato e potenze economiche che lo hanno finanziato. Sono state diffuse menzogne ben più incredibili dei brogli elettorali, per preparare la strada, per coltivare la divisione, l’incomunicabilità e la delegittimazione delle istituzioni democratiche.

Alla radice di questi fenomeni forse stanno anche menzogne «storiche» precedenti: quelle costruite per fare la guerra all’Iraq. Di sicuro sta la degradazione della democrazia americana per gli effetti distorsivi dello smisurato finanziamento privato della politica e delle competizioni elettorali, per le disuguaglianze radicali e i condizionamenti mostruosi che determina. False mitizzazioni, dunque, non si giustificano. La democrazia americana è una virtù e un patrimonio solo per la parte che vale davvero: tanto, ma non abbastanza a renderla invulnerabile.

A questo si aggiunga l’effetto globale delle piattaforme digitali, dei social media. La notizia che Facebook e Twitter hanno tolto l’accesso a Trump dopo i fatti del 6 gennaio è la prova del nove. Il risultato delle elezioni del 2016 fu determinato dall’uso drogato della rete e da incursioni, dimostrate nonostante l’ostruzionismo presidenziale di Trump, quali quelle pilotate dalla Russia di Putin. Ma va ricordato che le vittorie di Obama furono dovute anche alla prontezza e all’abilità che dimostrò nell’uso della rete. Ecco dunque che si dimostra l’arbitrarietà di un enorme potere, il contrario della neutralità ospitale e imparziale. L’«ecosistema della menzogna» si è alimentato e riprodotto come un blog sulle piattaforme, alimentando paure, odio e violenza verbale. Le piattaforme hanno mostrato la pervasività e la capacità di condizionamento di un potere che forse supera per potenza il Quarto e il Quinto Potere celebrati nella storia americana, anticipatori della mediatizzazione della società e della politica. Qui sta una delle principali sfide democratiche per ridefinire il concetto di «libertà». Una sfida che oggi fa i conti anche con i cambiamenti antropologici accelerati dalla rivoluzione digitale. Ma chi può avere la forza di giocarla questa sfida? Il Barone di Münchhausen uscì fuori da un pantano tirandosi per i capelli: ma la nostra realtà purtroppo non è una favola. Senza la forza data da conflitti costruttivi, da una poderosa spinta di fraternità e per il riscatto degli esclusi, secondo l’appello di Papa Francesco, non basterà definire concetti, riconoscere la realtà con coraggio e senza edulcorazioni.

La democrazia degrada a poco a poco, per lo spostamento di poteri reali e con la somma di micro e macro eventi, ma anche con salti quantici. Come com’è stata l’elezione di Trump e quello che è accaduto il 6 gennaio, che ha svelato degradazione e fragilità. Anche l’Europa ne ha subiti. Quello che è accaduto e accade in Ungheria e in Polonia è un salto. Come lo è stato, ai nostri confini, il colpo di stato di Erdogan.

Il fatto che non si siano organizzate vaste reazioni, mobilitazioni – ben prima degli impedimenti provocati da una pandemia – la dice lunga: i veleni, i virus sparsi dagli autocrati si sono diffusi nel corpo della democrazia europea e le reazioni immunitarie si dimostrano deboli. Ben prima si era affermata l’autocrazia di Putin, il ritorno in campo prepotente del panslavismo neofascista, con il sostegno concreto alle forze nazionaliste e all’estrema destra, con «ideologi» come Steve Bannon e Aleksandr Dugin che si sono dati la mano. E, certo, c’è anche la stretta autoritaria impressa in Cina da Xi Jinping: asimmetrie e realismo politico nel valutarla non possono diminuirne gli effetti oltre la dimensione nazionale.

Insomma, dopo l’assalto al Campidoglio si vede meglio anche il positivo: risalta il valore della vittoria elettorale di Joe Biden, la reazione che significa e la chance che dà. In un passaggio storico strettissimo, davvero d’importanza cruciale, si deve alzare la testa, si devono alimentare motivazioni e passioni, nel campo democratico devono vincere coerenze e ambizioni molto alte. Invece, vederle represse da una politica immiserita dagli emulatori del peggio, in ogni dimensione e ovunque, è deprimente.


Marco Filippeschi è Presidente dell’associazione CittàEUROPA, sindaco di Pisa 2008-2018

Più letti

spot_img

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento
Per favore, inserisci il tuo nome

Magazine