Il trasferimento tecnologico è elemento cruciale per la competitività del nostro sistema produttivo e, come tale, uno degli snodi essenziali del NextGeneration. Tanto più alla luce del rilevante gap che scontiamo rispetto ai nostri concorrenti nel passaggio dalla ricerca all’impresa.
Da un lato, perché abbiamo ancora difficoltà a far emergere dai nostri centri di ricerca startup innovative che portino la tecnologia a farsi prodotto sul mercato. Dall’altro, perché siamo ancora troppo poco capaci di avvicinare le imprese al mondo della ricerca: per far sì che grazie al confronto con i saperi tecnologici (e quelli creativi) cambino i loro processi e le loro organizzazioni, i materiali che utilizzano, il modo di disegnare le loro produzioni.
Le ragioni di questa difficoltà italiana sono varie. Ci sono, evidentemente, quelle di carattere culturale: sia per una tradizione scientifica del nostro mondo della ricerca non sempre rivolta alla concreta applicazione; sia per la ‘ritrosia’ del nostro tessuto di impresa all’incontro con l’innovazione. Oltre a queste ci sono, però, anche ragioni oggettive.
Troppo poche tra le nostre Università si sono dotate di politiche e organizzazioni per fare emergere, dalla loro attività di ricerca, nuove imprese innovative.
Sono, invece, troppi i Centri di Trasferimento Tecnologico italiani (Unioncamere ne ha censiti 620). E, soprattutto, non costituiscono una rete tra loro, ma si risolvono in una serie di iniziative scollegate e disomogenee: tra livello statale, regionale e comunale, tra iniziativa privata e pubblica, tra livelli qualitativi internazionali e esperienze di minor successo. Manca una governance unitaria che definisca organizzazione, standard qualitativi, prestazioni, servizi e criteri di valutazione e metta ordine tra livello statale e regionale.
Infine – ed è per molti versi la cartina di tornasole delle disfunzioni del sistema – in molti settori ci sono ancora pochi investimenti privati in ricerca e sono ancora poche le imprese, in particolare tra le PMI, che accedono alle possibilità offerte dal nostro ‘mondo del sapere’.
Il Next Generation è l’occasione per affrontare questa questione: con alcune chiare linee di intervento.
La prima è rafforzare la capacità del nostro sistema di ricerca di far crescere imprese innovative. Questo significa investire nei laboratori e dotarli di infrastrutture essenziali sia all’attività di indagine scientifica, sia all’attività al servizio delle imprese. Irrobustire gli uffici di trasferimento tecnologico delle nostre Università e dei nostri centri di ricerca. Costruire, attorno a questi centri accademici, ecosistemi dell’innovazione in cui – insieme ai dipartimenti più vicini ai bisogni dell’impresa – vengano ad insediarsi incubatori ed acceleratori, imprese dei settori tecnologici, operatori del settore della finanza più avanzata. E, ancora, l’iniziativa del NextGeneration dovrà potenziare gli strumenti finanziari che negli ultimi anni sono stati promossi proprio per finanziare la trasformazione delle idee di Università e centri di ricerca in impresa innovativa: dal Fondo Nazionale Innovazione al Fondo Enea Tech.
La seconda sfida che abbiamo davanti è invece quella di aumentare la capacità di portare il tessuto produttivo – e, in particolare, le nostre PMI – ad acquistare servizi di trasferimento tecnologico. Per questo si deve agire sia dal lato dell’offerta sia da quello della domanda.
Sotto il profilo dell’offerta, va costruita una vera e propria “Rete italiana di Centri di Trasferimento Tecnologico”. Una Rete che conti molti meno attori degli attuali 620, ma che li qualifichi e li certifichi proprio in base alla loro capacità di portare la ricerca dentro l’impresa. A partire da una valorizzazione delle realtà che già funzionano, questa Rete – che dovrà integrare gli European Digital Innovation Hub che tra qualche mese selezionerà la Commissione europea – riunirà centri con livelli di qualità dei servizi omogenei, procedure di accesso tipizzate, un branding simile. E, punto altrettanto decisivo, dovrà assicurarne una stretta connessione: per far sì che non ci siano duplicazioni, che le attività svolte da ognuno dei partecipanti della Rete siano conosciute dagli altri, che si promuovano tra loro forme di collaborazione. Accanto a questa ‘prima fila’ di soggetti – tra i quali ce ne saranno anche alcuni specializzati in particolari ambiti tecnologici – va rafforzata la capacità dei Competence Center 4. 0 e di altri attori sul territorio di essere la front line per le imprese nel trovare le soluzioni idonee ai loro problemi e alle loro esigenze, nell’avvicinarle e formarle alle nuove possibilità aperte dalla tecnologia. Un momento di ingresso ad ampio spettro attraverso il quale entrare in contatto con gli attori della Rete capaci di dare all’impresa i servizi richiesti.
Passando al piano della domanda, vanno impostati analoghi interventi per superare inerzie ed estraneità che per troppo tempo hanno pregiudicato la pienezza del rapporto tra impresa e ricerca. Va cioè definito un sistema capace di portare le imprese ad avviare un dialogo con i Centri di trasferimento tecnologico della Rete. Devono andare in questo senso: incentivi all’acquisto dei servizi di ricerca da parte dell’impresa attraverso la forma di voucher; il sostegno all’innesto di ricercatori e dottorati all’interno delle imprese per avvicinarle alle nuove tecnologie; il potenziamento delle agevolazioni fiscali a supporto delle attività di ricerca.
Ma per il pieno funzionamento di questa rete multipolare c’è poi bisogno di altri due elementi.
Il primo è un sistema di governance che veda la coabitazione delle amministrazioni competenti alle attività produttive e alla ricerca con rappresentanti delle regioni, delle Università e dei Centri di ricerca. E, ovviamente, delle imprese. Un luogo politico-amministrativo che dia indirizzi e assicuri l’unitarietà nel funzionamento di questa Rete che, per altro verso, sarà immersa nelle specificità dei singoli territori.
Il secondo elemento, altrettanto essenziale, è un’azione di monitoraggio e valutazione rispetto alle attività condotte nell’ambito della Rete, articolata su metriche e obiettivi ben precisi e verificabili. Un elemento essenziale per individuare criticità nel sistema e permettere interventi altrettanto precisi e verificabili.
Sono questi i passaggi che riteniamo strategici nella definizione di questa componente determinante per il nostro futuro produttivo.
Esaminando il ritardo italiano in termini di politica industriale, su questo aspetto così cruciale, spesso si fanno riferimenti alle esperienze estere. I Paesi a noi più vicini hanno, infatti, sistemi che sono diventati vere e proprie ‘categorie’ dell’azione amministrativa – i Fraunhofer, i Catapult Centres, i Pôles de Croissance. Ognuno ha vantaggi e criticità e, dobbiamo esserne consapevoli, non potrebbero essere importati nel nostro Paese senza gli opportuni adeguamenti. Tuttavia è questa l’ottica per fare del Next Generation l’occasione per dare al nostro sistema di impresa un assetto analogo a quello di altri paesi: per missione, capillarità, efficacia. Non dobbiamo assolutamente perderla.