La scuola primaria dopo il Covid sia davvero la casa dei bambini e della conoscenza
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In questo momento di pandemia si ha la sensazione che scuola del primo ciclo, primaria e secondaria di primo grado sia stata dimenticata.

La mia percezione da dirigente scolastico di un istituto comprensivo è che la politica, la stampa, i vari commentatori, quando parlano di scuola pensino alla scuola dell’infanzia o alla scuola superiore e che non considerino l’età che va dai 7 ai 13 anni, i bambini, quelli non più piccoli, ma non ancora adolescenti.

Sappiamo (Piaget, etc.) che questa è un’età fondamentale per lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità, ed è a mio parere quell’età che più ha sofferto dalle chiusure della primavera scorsa, e quella, che per motivi diversi soffre ancora tanto adesso.

Un’età che ha bisogni e necessità di conoscenza, culturali, che non hanno trovato sufficienti risposte nell’organizzazione scolastica così come si è consolidata negli ultimi 50 anni.

Necessità e bisogni che nessuno rappresenta: non i genitori che troppo spesso hanno così tanta urgenza di una scuola prima di tutto “asilo sociale” (per usare un’espressione di Recalcati) da non poter immaginare altro; non una parte, non sempre minoritaria, degli insegnanti, occupati a mantenere la loro posizione di piccolo privilegio (gli orari, le vacanze), oppure impegnati a superare la loro condizione di migranti stagionali dal sud al nord.

In tempo di COVID, sono d’accordo con Recalcati, la scuola sarà quella possibile, senza tante assurde prese di posizione. E’ stato sbagliato demonizzare la didattica a distanza, che alternata in modo intelligente a quella in presenza, poteva essere una buon compromesso. Potevamo dividere le classi in presenza il più possibile al mattino per mantenere una buona qualità della didattica in presenza ed una accettabile sicurezza sanitaria, e poi prevedere un accompagnamento nel pomeriggio con attività a distanza.

Potevamo anche ridurre gli orari scolastici, la percentuale di autonomia in questo momento poteva essere sottratta dal monte ore annuo per ciascun alunno e questo avrebbe permesso di attuare gli ingressi scaglionati senza troppi problemi.

Hanno prevalso i bisogni delle famiglie, la scuola “asilo sociale”, tutti a scuola fino a quando i bambini non sono autonomi per stare a casa da soli, dopo tutti a distanza.

Ogni volta che i bisogni dei bambini si trovano in contrasto con quelli sociali delle famiglie, sono destinati a soccombere.

Proviamo allora ad immaginare una possibile sintesi che partendo dai bisogni dei bambini/ragazzi includa anche quelli delle famiglie.

Alcuni punti cardine da non dimenticare
– I bambini di oggi hanno esigenze di movimento e di sviluppo delle competenze di base che trovano solo, o soprattutto, a scuola la possibilità per essere esercitati.
– I bambini hanno bisogni di socialità che oggi non trovano risposte adeguate fuori dalla scuola.
– Lo sviluppo della conoscenza, anche a questa età, ha necessità di una riflessione non solo individuale, ma collettiva, che si costruisce nello scambio con gli altri.
– I contesti socio culturali sociali e familiari in cui i bambini vivono sono molto diversi ed influenzano in modo determinante lo sviluppo degli apprendimenti.
– I bambini hanno bisogni d’apprendimento differenti dati dalla loro condizione sociale e personale.
– Non si deve rinunciare all’idea della scuola “Piazza” come sostiene Raffaele Iosa, solo nella scuola pubblica si incontra il mondo con tutte le sue sfaccettature e questo fa bene a tutti, sia ai più fortunati che agli alunni con maggiori criticità
– La condizione sociale e lavorativa delle famiglie chiede alla scuola risposte diverse in termini di organizzazione scolastica.
– Prima devono essere presi in considerazione i bisogni dei bambini poi quelli dei genitori, infine degli operatori, per buona pace dei sindacati della scuola, ma dobbiamo cercare una sintesi.

Ed allora per il futuro, per il DOPO COVID, immagino una scuola che prima di tutto sia una CASA DEI BAMBINI ed insieme una CASA DELLA CONOSCENZA

– Una casa accogliente, con spazi per tante attività libere e guidate, con spazi gioco strutturati, con luoghi per la lettura, bella, stimolante negli spazi e negli arredi, con giardini organizzati per giocare, leggere, studiare.
– Una casa con tempi lunghi, perché i genitori che sono oberati dalle loro difficoltà gestionali possano trovare un’ampiezza di offerte che permettano loro di poter pensare davvero a ciò che è bene per il proprio bambino.
– Una casa aperta ogni giorno dalle 7,30 alle 17,30, il sabato dalle 7,30 alle 13, tutti i mesi dell’anno ad eccezione di un mese in estate, di 15 giorni a natale ed una settimana a pasqua, che offra attività obbligatorie con tutto il gruppo classe per non più di 32 ore settimanali nella scuola primaria (la mattina dal lunedì al venerdì ed almeno tre pomeriggi) e non più di 27 (5,5 ore per 5 mattine o 4,5 per 6 mattine) nella scuola secondaria di primo grado, da settembre a giugno, con tante altre attività facoltative o consigliate nei tempi non obbligatori, per piccolo gruppo, individuali, con docenti e con operatori diversi, educatori, esperti vari, così da rispondere ai vari bisogni di apprendimento degli alunni ed offrire via via che gli alunni che crescono un’apertura ai linguaggi ed ad altre esperienze educative.
– Una casa in cui la regia degli interventi sia degli insegnanti, che però non devono decidere il loro orario di lavoro, condizionando l’orario di scuola dei bambini; non è ammissibile che in tanta parte d’Italia non si faccia il tempo pieno anche perché i docenti vogliono il pomeriggio libero, che non si lavori il sabato, facendo andare i bambini a scuola fino alle 14, perché i docenti scelgono di avere il sabato libero. Credo ci debba essere un orario base uguale per tutti i bambini in tutta Italia e poi tante attività, condotte in primis dai docenti, ma non solo. Anche le legittime esigenze delle regioni di investire nelle scuole del proprio territorio troverebbero risposte e uno spazio/tempo dedicato.
– C’è l’esigenza di una nuova governance della scuola dove si definiscano con chiarezza i livelli essenziali di prestazione, definiti dal governo, lo spazio dell’autonomia scolastica, l’intervento delle regioni. Ci tengo a chiarire che a mio avviso, nonostante le varie criticità, l’autonomia scolastica ha salvato buona parte della scuola italiana.
– Una casa con una mensa curata, spazi adeguati (non si può mangiare in classe), con piccoli spazi mensa (anche polivalenti al servizio delle classi, due spazi contigui per ciascuna classe) dove consumare il pasto caldo, ma anche con la possibilità di portarsi il pasto da casa soprattutto per i più grandicelli. Non può essere la difficoltà ad organizzare le mense ad inficiare l’ampliamento dell’orario e quindi dell’apprendimento per i bambini.
– Una casa che quando chiude, chiude, che dopo quegli orari la famiglia deve organizzarsi ed il sociale deve provvedere alle situazioni di disagio, facendo finire quella commistione tra esigenze sociali ed educative e di istruzione che tanto danneggia la scuola del primo ciclo, per cui il tempo pieno non è più il tempo per la didattica laboratoriale come era nato, ma semplicemente il tempo lungo di cui la famiglia ha necessità.
– Una casa della conoscenza anche per le famiglie, i genitori, gli adulti in genere, al servizio della comunità di riferimento.

Credo che le risorse europee del Recovery Fund dovrebbero essere utilizzate in questo senso, un grande, enorme investimento, per i bambini, le famiglie, il presente ed il futuro del paese.

Verrei concludere dicendo che io sono stata fortunata, sono stata una giovane maestra in un periodo in cui avevamo grandi aspettative sulla scuola, sulla società, dove esercitavamo singolarmente e collettivamente la nostra capacità di immaginare e progettare il futuro; adesso purtroppo c’è il deserto, oppure ci sono le prese di posizione, le semplificazioni, che offuscano la capacità di pensare che “un altro mondo è possibile”.


Sandra Bolognesi Dirigente ICS LIPPI Prato

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