In un murales in lingua spagnola girato nei social in queste settimane di coronavirus ho letto una frase che ho condiviso con tanti amici e che riassume bene il mio pensiero su come sarà il dopo: “No volveremos a la normalidad porque la normalidad era el problema”. Questa emergenza ha infatti reso evidente una fragilità strutturale della nostra società che era conosciuta soltanto agli operatori sociali o alla parte più attenta e sensibile della politica e delle istituzioni: quanta povertà in progressivo aumento, quanta precarietà in lavori non tutelati e non sufficienti a garantire un tenore dignitoso di vita.
I centri di ascolto e soprattutto quelli di distribuzione alimentare delle nostre Caritas hanno incrociato il bisogno di tante persone e famiglie che mai prima si erano presentate.
Se la “normalità” che ha preceduto il coronavirus era questa dovremo davvero cambiare qualcosa, iniziando proprio dal contrasto alla povertà. In questi ultimi anni si sono attivate per la prima volta misure indirizzate a questo obbiettivo. Occorre rafforzarle, con una attenzione particolare alle possibilità di accesso al lavoro e ad un lavoro dignitoso e tutelato.
Non è infatti solo questione di risorse economiche, ma di accompagnamento e sostegno alla dignità delle persone, di dare a ciascuno la possibilità di trovare una propria dimensione di vita.
Il quadro si allarga perciò nella ricerca delle risorse necessarie e nella questione tutta politica di definire le priorità. Quali saranno dopo il coronavirus? Speriamo non le stesse di prima.
Continueremo nella dimensione del lavoro e della economia a privilegiare il maggior guadagno possibile oppure ci faremo carico anche della busta paga di chi lavora? Continueremo a spendere cifre inimmaginabili nelle armi o apriremo spazi di economia sostenibile e indirizzata allo sviluppo? Sarebbe davvero assurdo e incomprensibile riprendere tutto come prima come se non fosse accaduto niente. Speriamo davvero che la memoria non ci tradisca, come purtroppo sta avvenendo da qualche tempo per altre tragedie del secolo passato.
Quali iniziative potremmo cercare di intraprendere?
La prima potrebbe essere ricostruire una grande rete sociale fra tutti i soggetti: istituzioni, agenzia educative, realtà produttive, terzo settore. “Se ne esce insieme” ci ricordava Papa Francesco prima di Pasqua: dobbiamo ripensare un mondo dove nessun settore fa a meno degli altri, dove economia e ambiente, istituzioni e organi intermedi rafforzano collaborazione e attenzione reciproca. L’economia non potrà più produrre ricchezza per pochi e povertà per molti.
Questo porterà anche un diverso criterio di valutazione dello sviluppo, che non potrà essere più misurato soltanto sulla quantità di merce prodotta o consumata, ma sulla reale qualità della vita delle persone: gli spazi di vita, di riposo, i servizi, le relazioni, tutto quel mondo che non è quantificabile nel consumo o nel possesso dei beni. In queste settimane nelle quali siamo stati privati di questi beni non materiali spero che ne abbiamo riscoperto il valore e l’importanza per la nostra vita.
Questa crisi ci lascia però anche la consolazione di tanta generosità: nelle nostre Caritas riceviamo tanti contributi e la disponibilità di molti giovani al volontariato. Anche questo resterà dopo il Coronavirus e sarà un patrimonio di consapevolezza che ci aiuterà a non tornare a quella “normalità” che sta producendo in questo tempo tanta sofferenza.
Don Armando Zappollini è Direttore Caritas della Diocesi di San Miniato (Pisa)