In queste settimane, dall’inizio della pandemia da Covid-19, abbiamo ascoltato e letto una molteplicità di dichiarazioni e di analisi sugli effetti che il coronavirus avrà sulla nostra economia e sul nostro tessuto sociale.
Abbiamo imparato che fin quando non sarà trovata una cura o un vaccino dovremo rispettare tra noi un “distanziamento fisico” (espressione che trovo più efficace del cosiddetto “distanziamento sociale” il cui suono è assimilabile alle insopportabili “disuguaglianze sociali”) per ridurre per quanto possibile il rischio da contagio.
Abbiamo scoperto che nel migliore dei casi l’economia nazionale andrà incontro ad una recessione di dimensioni bibliche. Le più recenti stime prevedono, infatti, un crollo del PIL dell’8%, un rapporto tra debito e PIL intorno al 160% ed un deficit del 10%.
Abbiamo scoperto che l’attuale assetto istituzionale e di competenze tra Stato ed Enti locali è completamente da riscrivere poiché ad un decreto governativo si contrappongono ordinanze regionali che spesso e volentieri contraddicono le indicazioni centrali. La cessione di competenze alle Regioni, in particolare in materia di sanità, non sempre si è tradotta in maggiore efficienza ma piuttosto in una moltiplicazione di centri di spesa e di inefficienze. Dietro tutto ciò vi sono milioni di lavoratrici e lavoratori e centinaia di migliaia di imprese, soprattutto PMI, che vedranno la propria condizione economica e sociale messa a dura prova.
Le conseguenze di questa crisi sulle famiglie e sull’organizzazione familiare saranno tante e molte ricadranno sulle spalle delle donne che si troveranno a far fronte sia alla gestione dei figli (che non possono andare a scuola) che al lavoro in casa e alla cura dei familiari. Incombenze che ancora oggi sono di quasi esclusiva competenza femminile.
Tuttavia, questa potrebbe essere l’occasione giusta per sviluppare una maggiore corresponsabilità genitoriale che alleggerisca le donne dal doppio fardello familiare e professionale attraverso soluzioni promosse dal legislatore e che vadano verso una gestione più equilibrata della famiglia che non pesi in termini finanziari e di sviluppo professionale solo sulle donne.
Non è un caso che, secondo uno studio dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, il 40,9% delle mamme tra i 25 ed i 49 anni è impiegato a tempo parziale, contro il 10% degli uomini per i quali il lavoro part-time è una modalità assolutamente residuale. Inoltre, dei circa 4 milioni di persone che ricominceranno a lavorare dal 4 maggio, più del 70% sono uomini.
Il rischio, quindi, che le donne siano le grandi sconfitte di questa pandemia è molto alto soprattutto perché una regressione dei diritti acquisiti (ancora pochi) negli ultimi anni dalla donna è più che una mera ipotesi. Il confine tra lo smart working e il ritorno al tinello è molto sottile e per questo abbiamo il dovere di immaginare un futuro diverso per le donne con un’autentica emancipazione sociale, salariale e familiare.
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Il nocciolo centrale di una società è la condizione delle donne e dei bambini che non sono al servizio ma sono l’obbiettivo!! La dignità delle donne ottenuta con il lavoro che le rende libere e l’educazione dei bambini per costruire una società sempre migliore. Tutta la storia evolutiva BIOLOGICA dell’uomo lo testimonia, quella storia che ha fatto di noi una specie sociale e con grandi capacità cognitive. Purtroppo la storia CULTURALE, quella in cui i maschi hanno preso il timone, ci sta facendo regredire da Homo sapiens a Homo non sapiens (l’irrazionalità dilaga), anzi, forse anche non Homo (l’egoismo dilaga).