Fase due, accendiamo i riflettori sui bambini più piccoli
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In questi giorni di dibattito sulla ripartenza dei luoghi lavorativi, dopo cinque anni di assessorato alle politiche educative, sento il bisogno di provare a dare il mio contributo per accendere il dibattito sulla necessaria attenzione nei confronti di una fascia molto fragile e con particolari bisogni cioè delle bambine e dei bambini più piccoli, la cosiddetta fascia 0-6 anni.

Ho sentito e letto diversi contributi che non sempre hanno affrontato con la dovuta attenzione e profondità il problema.

Partendo dal piccolo osservatorio del Comune di Montechiarugolo, abbiamo immediatamente provato a immaginare la riconversione di tutti i servizi educativi in una forma che potesse essere utile nella quotidianità, compreso i servizi 0-3 che ci hanno assorbito particolarmente nella fase di riprogettazione, in un’interlocuzione costante con gli attori della nostra comunità educativa. È d’obbligo un ringraziamento a tutto il personale educativo per il grande sforzo di riconversione di servizi tradizionalmente di stretta relazione a contatto coi bambini in una modalità a distanza tramite schermi che non possono però trasmettere il calore che contraddistingue quelle relazioni.

Nel frattempo ha bussato alla porta la fase due lavorativa incombe e ci auspichiamo che arrivi il prima possibile ma non possiamo rischiare di trovarci impreparati sulla fase due dei servizi educativi: la mia preoccupazione è che arrivi il momento dell’apertura alla “armateci e partite” col rischio di lasciare sul campo l’attenzione al progetto pedagogico che è il fondamento della qualità e della garanzia di cura adeguata ai bambini, cura intesa all’ ”I care” donmilaniano.

Inoltre, per ora, le richieste di riapertura sono quasi sempre in ottica di sostegno al lavoro dei genitori, aspetto fondamentale ma in egual misura al diritto ed alla necessità dei bambini alle relazioni, alla socialità, al bisogno di stimoli e contesti educativi. In questa visione si parla di priorità rispetto a chi ne ha bisogno per impegni lavorativi, aspetto condivisibile che però non deve prevaricare la ricerca di risposte anche ai bisogni dei bambini dopo mesi di reclusione in casa.

In questo i coordinamenti pedagogici territoriali assorbiti quasi totalmente dalla riprogettazione della fase 1, sarebbero a mio avviso il contesto necessario e creativo in cui dare risposta all’estremo bisogno di confronto tra territori e tra progettisti per parlare di prospettiva e di futuro dei servizi.

Sono convinto che la soluzione sia appunto da ricercarsi in un approccio integrato di competenze e di conoscenze. Provo, senza pretese e con umiltà massima, a ipotizzare qualche spunto di riflessione.

Innanzitutto c’è un tema sanitario da affrontare sulle indicazioni operative da seguire nei servizi educativi. Difficile immaginare servizi con bambini così piccoli che usano correttamente e costantemente mascherina o altri dpi quindi è più probabile che tamponi e test periodici all’interno dei servizi diverranno una prassi, oltre al tracciamento scrupoloso dei contagi. I dati parlano di un rischio di sintomi gravi attorno all1% dei casi di coronavirus dei bambini sotto i 6 anni ma è comunque alta la preoccupazione che possano diventare un vettore per il contagio della famiglia quindi in primis dovremo continuare a “difendere” con la massima attenzione i nonni.

Per queste indicazioni e per ciò che esporrò dopo saranno necessari piani di formazione del personale educativo specifici per superare le paure e i timori delle educatrici come anche quelle dei bambini che torneranno ad incontrare “estranei” dopo mesi di rapporti esclusivamente parentali. A tal proposito anche i percorsi e i momenti di educativa parentale saranno fondamentali per una riapertura serena e condivisa dei servizi

Passando agli aspetti più legati alle proposte operative, il piccolo gruppo educativo può essere la base progettuale della ripartenza percorrendo la strada a noi ben nota da Malaguzzi in poi. Rimango tuttavia scettico all’ipotesi formulata da qualche collega sull’educatrici familiari oppure al modello tagesmutter che non garantiscono la disponibilità di spazi, di rapporti numerici educatori-bambini né tanto meno l’interruzione dell’ipotetico contagio. Sono fermamente convinto che per mantenere la qualità dei contesti educativi sia necessario ripartire dal confronto e dalla collaborazione del gruppo educativo, avendo una cornice di progetto pedagogico pensato, riflettuto e affinato dal confronto con la comunità.

Come già prassi nei nostri servizi si dovrà studiare le necessità delle famiglie iscritte e trovare soluzioni organizzative sullo studio delle specificità: ogni territorio può avere necessità e peculiarità differenti e i servizi di comunità devono sempre tenerne conto. Ci potranno quindi essere servizi molto flessibili in termini di orario pur mantenendo saldi i principi di continuità e di costruzione del gruppo oltre a proposte a frequenza a rotazione in auspicabile concomitanza coi turni di lavoro dei genitori.

In prospettiva di una fase 2 estiva gli spazi esterni saranno da privilegiare sia in ottica di limitare gli assembramenti sia per l’importante valenza educativa, parliamo di Outdoor Education e di continuità dei percorsi educativi che da anni lavorano sul collegamento dell’esterno con l’interno, superando la dicotomia dentro-fuori.

Infine un’ultima riflessione ma di particolare importanza deve essere fatta sui nuovi ambientamenti di bambini che entrano per la prima volta nei servizi: i vissuti e le richieste delle famiglie potranno essere i più disparati e dovremo prestare particolare attenzione ai bisogni “speciali” dei bambini che in questa fase della loro vita sono veramente individuali e molto differenti.

A latere di questi spunti, altri devono essere portati avanti sul tema delle diverse abilità e dei bambini con difficoltà di varia natura coi quali è necessario fare percorsi individualizzati seguendo l’approccio multidisciplinare del lavoro in equipe nelle quali sarà fondamentale la presenza delle professionalità specifiche dell’AUSL in base al caso specifico.

Tutto questo si ripercuoterà necessariamente sul costo dei servizi: qui sì che deve e dovrà entrare in gioco la politica. Come sapete sono sempre stato un sostenitore dell’idea di servizi dell’infanzia come parte del diritto universale dei bambini all’educazione ed istruzione e, come tale, in una prospettiva di gratuità. Il mio auspicio è che quest’emergenza sia l’occasione per aumentare strutturalmente le risorse del governo e della regione per avvicinarsi sempre di più all’obiettivo dei nidi gratuiti, impegno presente anche nel programma di mandato del presidente Bonaccini.

Queste mie valutazioni che ho provato a rendere di facile lettura in realtà richiedono un enorme lavoro specialistico ma ritengo utile proporli pubblicamente, in parte provocatoriamente, per far partire quella raccolta di riflessioni e valutazioni degli addetti ai lavori che ritengo, adesso, qui ed ora, necessarie per arrivare preparati alla riapertura dei servizi. Lo dico a ragion veduta perché la nostra terra è sinonimo di eccellenza educativa e riferimento mondiale sull’educativa all’infanzia e vorrei che questa eccellenza potesse guidare non solo il dibattito nazionale ma fare scuola per tutti gli altri Paesi toccati da questa pandemia.

Rispondiamo come comunità educativa, facciamolo ora, tracciamo noi la linea da seguire: per la nostra cultura, storia e per la nostra ricchezza più grande, i nostri figli.


Daniele Friggeri è Sindaco del comune di Montechiarugolo (PR)

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