Il decreto che ha visto la luce in queste ore è sicuramente, sui temi che riguardano la salute, significativo. Lo è non solo per quanto riguarda le risorse a disposizione, che pure non sono un parametro secondario in un paese che ha vissuto oltre quindici anni di tagli e definanziamenti del servizio sanitario nazionale, ma anche per alcune scelte importanti e politicamente impegnative che sono state fatte.
Un investimento così importante, oltre tre miliardi di euro, tutto insieme non si vedeva da molti anni ma se da una parte è giustificato dall’emergenza Covid dall’altro da un segnale importante, e si spera strutturale, su un fronte per troppi anni trascurato che è rappresentato dai servizi sanitari territoriali.
In questa emergenza è emerso come per molti/troppi anni abbiamo investito su un modello di servizi fondamentalmente basato sugli ospedali, a volte eccellente a volte meno, arrivando ad una progressiva rarefazione dei servizi sul territorio. Medici di famiglia che andavano in pensione non sostituiti, distretti sanitari territoriali sempre più deboli, tagli progressivi dei servizi nelle aree interne del paese, farmacie di comunità che si orientavano alla vendita di prodotti diversi rispetto a quelli sanitari perché la distribuzione dei farmaci si spostava in ospedale piuttosto che mantenerla sul territorio.
Un segnale positivo c’era già stato nella legge di stabilità di qualche mese fa e nel Patto per la salute promosso dal governo e firmato con le regioni a fine dicembre ma senza dubbio ora ci sono, potenzialmente, le condizioni per un cambio di marcia.
La previsione di investimenti sull’assistenza domiciliare, con l’aumento degli organici del personale sanitario con un piano di assunzioni importante, con il rafforzamento della integrazione tra ospedale e territorio, con l’uso della telemedicina, con finalmente l’accelerazione sul fascicolo sanitario elettronico, con la previsione dell’uso dei dati sanitari delle regioni per far si che il Ministero della Salute possa arrivare ad una ripartizione del fondo sanitario nazionale basato sui bisogni di salute delle singole popolazioni che vivono i nostri territori.
Tutte scelte importanti e condivisibili, che erano in alcuni casi attese da molti anni, che ci fanno fare dei passi nella giusta direzione se sono al servizio di un disegno, di una “idea di paese” che parta dalla consapevolezza che il servizio sanitario nazionale è uno straordinario, lo è stato storicamente, strumento di coesione sociale, di sviluppo economico e come si è visto in questa fase anche di sicurezza. Detto questo in questo servizio sanitario negli ultimi anni si sono ampliate disuguaglianze storiche fino a diventare insostenibili creando un “fossato” non solo tra nord e sud ma anche tra città ed aree interne.
Cosa bisogna fare adesso? Ora inizia la parte più difficile. Bisogna lavorare bene per non sprecare il tempo e le risorse a disposizione perché quella che viviamo adesso e vivremo nei prossimi mesi è una occasione forse irripetibile per ridisegnare e rafforzare i sistemi socio/sanitari del nostro paese. Per farlo bisogna tener conto di tre variabili essenziali.
La prima è la variabile istituzionale. Con un modello come quello che abbiamo molto frammentato dove ogni regione opera autonomamente e non vi è un bilanciamento dei poteri tra Stato e regioni, che banalmente dovrebbe avere come parametro il fatto che deve essere garantito ad ogni cittadino il diritto di avere accesso in tempi ragionevoli ai Livelli Essenziali di Assistenza, il rischio di impantanarsi in discussioni su come ripartire le risorse è forte.
La seconda è la variabile temporale. In parte legata alla variabile precedente. Proprio perché queste scelte erano molto attese bisognerà essere veloci nei processi di implementazione, partendo dalla adozione di tutti i provvedimenti regolamentari necessari per codificare nuove prestazioni, e poi i concorsi, le circolari applicative ed interpretative. Lo Stato può e deve dare, per la parte di sua competenza, una prova di efficienza per poter chiedere conto alle Regioni delle azioni che dovranno a loro volta porre in essere.
La terza la chiamerei la variabile civica. Questa può essere una straordinaria opportunità di mobilitazione civica, delle comunità, per disegnare attraverso percorsi partecipativi i servizi socio/sanitari che si adattano ai bisogni di quegli specifici territori incrociando ad esempio il lavoro fatto in questi anni dal Dipartimento per la Coesione e dalla Strategia Nazionale delle Aree Interne, partendo dal presupposto che il valore della sussidiarietà in un paese normale non è “redistribuire i poteri e le poltrone” tra enti di vario livello ma “valorizzare le specificità” in un quadro di esigibilità dei diritti chiaro e trasparente. Se a questo aggiungiamo l’opportunità di fare un lavoro di “rendicontazione partecipata” delle tante risorse a disposizione abbiamo ed avremmo l’occasione per rinsaldare quel rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni che è l’architrave di ogni “paese normale” di cui tanti si lamentano ma su cui pochi si sono attivati.
Penso quindi che le scelte fatte vanno nella giusta direzione, andranno accompagnate in Parlamento per migliorarle o renderle più esplicite laddove sarà necessario. E’ una sfida importante, rischiosa perché con questa manovra stiamo mettendo dei debiti pesanti sulle spalle dei nostri figli che nei prossimi anni dovranno pagarli, ma è anche l’occasione per capire se c’è ancora spazio nel nostro paese per un pensiero forte, riformista, che metta al centro i diritti, che guardi alla prossima generazione e che consideri le infrastrutture sociali come un investimento e non come un costo da tagliare o al massimo da contenere.
Antonio Gaudioso è il segretario generale di Cittadinanzattiva
Lo studio più solido al mondo sul Reddito di Base Universale ha concluso che migliora il BENESSERE mentale e finanziario dei destinatari, oltre a migliorare lievemente l’occupazione.
https://www.facebook.com/groups/IstituzioneRedditoDiBaseUniversalePetizione/permalink/656051345239347/
Sicuramente quella che stiamo vivendo è un’opportunità unica per ristrutturare il nostro SSN sfruttando da una parte la presa di coscienza dell’opinione pubblica sulla insostituibilità di un Servizio Sanitario Pubblico che va adeguatamente rifinanziato, dall’altra la considerevole quantità di denaro (non dimentichiamo i fondi messi a disposizione dall’UE che non dobbiamo rifiutare) che ci potrà consentire di rimetterlo in carreggiata. Condivido, quindi, in pieno quanto scritto da Antonio Gaudioso, mi permetto di aggiungere tre concetti che non dobbiamo lasciare per “impliciti”.
1) E’ giunto il momento di rivedere a fondo i rapporti con la sanità privata. L’esperienza lombarda ha messo a nudo i guasti che una eccessiva delega al privato provoca. Il privato ricominci a fare il suo ruolo e trovi i finanziamenti sul mercato ed il Pubblico sia messo in condizioni (personale, atterzzature, gestione) di svolgere a pieno la sua missione.
2) Il ruolo di tutto il Personale Sanitario va ripotenziato, anche in previsione di una espansione dell’attività sui territori: case della salute, assistenza domiciliare, RSA, hospice. Moltissime di queste strutture potranno essere condotte con una gestione infermieristica, vista le alte professionalità di cui disponiamo. Inoltre, d’accordo con il MIUR, bisognerà rivedere la formazione dei giovni medici per metterli in condizione di poter svolgere il loro lavoro già al momento dell’uscita dall’Università.
3) Abbiamo visto quanto importante è disporre di ricercatori preparati e di quanto deve essere valorizzata la ricerca in campo sanitario: da quella di base e traslazionale alla ricerca clinica fino alla Real world Medicine. Non dimentichiamolo.
In conclusione cogliamo l’occasione per ristrutturare il SSN ma non restaurarlo: non torniamo, per favore, alla situazione pre-covid-19.