Il virus ha ridisegnato la geografia della povertà, le fragilità sociali da curare
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E’ questo il tempo.

Fatta la conta delle vittime, iniziato il processo di rimozione delle “macerie” e individuate le cure provvisorie di sostegno economico e sociale, per meglio alleviare le ferite che questo disastro mondiale del XXI secolo ci ha riservato, è arrivato il tempo di partire.

Partire e non “ripartire” perché i danni sono innumerevoli e di diversa natura. Questa pandemia non ha solo sospeso la normalità individuale, l’ha trasformata e, nei casi meno fortunati, annullata. Non possiamo ipotizzare una ricostruzione, bensì una costruzione, profonda, dal basso, collettiva, sociale prima ancora che economica e politica.

E’ tempo di ridisegnare il mondo partendo dalle singole esigenze della società. Ognuno di noi ha la responsabilità, oggi più di ieri, di impegnarsi, di agire, di volere concretamente riconquistarsi la propria dimensione di vita fatta di normalità e dignità, affinché la prospettiva di futuro sia realmente visibile e meno opaca per tutti. All’inizio dell’emergenza la popolazione italiana, tra le prime in Europa, è sembrata voler riproporre, dall’isolamento forzato, una serie di valori, di slogan e meme che davano la sensazione di voler ostinatamente orientarsi verso ottimistiche soluzioni di ripresa. Il: “Andrà tutto bene”; “Nessuno resterà indietro”; “Siamo un popolo coraggioso che sa rialzarsi” e tanti altri motti che, con orgoglio, molti hanno condiviso dai balconi e dalle finestre delle proprie abitazioni, sono stati la fotografia di una nazione che, una volta finita l’emergenza, si sarebbe ritrovata indebolita ma diversa, con lo sguardo attento agli altri, più umana.

Quella fase – almeno nei termini stabiliti dal governo – è stata superata, la quantità dei morti è terrificante, è una cifra che unisce troppi numeri. I nostri sguardi sono spenti e sconosciuti dietro la protezione delle mascherine. Adesso, alla cifra esorbitante dei caduti, a spaventare la popolazione sono i dati economici che arrivano dagli osservatori e dalle casse dello Stato. Siamo testimoni di una delle più gravi crisi economiche che si sia mai registrata a livello mondiale dal 1929. La percezione che si intuisce con drammatica chiarezza è che, ad oggi, gran parte degli italiani hanno più paura della fame e della miseria che aleggia sul proprio futuro, piuttosto che di un eventuale contagio dal virus. In questi primi giorni, di quella che viene chiamata “fase 2”, la sensazione è che quegli slogan di speranza e condivisione, sembrano essersi dissolti da una più cruenta realtà, dando adito a gesti e azioni di un più pericoloso individualismo. Sembra stia diffondendosi una più barbara legge di sopravvivenza, quella del “Si salvi chi può”.

E ahimè, la storia ci insegna che a salvarsi da un pericolo sono sempre i più forti.

La politica in questo passaggio gioca un ruolo fondamentale, determinante, affinché la percezione del futuro, nel medio e lungo periodo, sia meno ostile e più confortante per tutti. Ma la vera energia per una rapida e corretta costruzione è nelle mani e nella volontà dei governati, della popolazione
 
Come Cucine Popolari, siamo testimoni di questo dato poco confortevole su come la società si sia indebolita. E’ senz’altro un dato locale, circoscritto al territorio bolognese, che non ha valore di dato assoluto nelle analisi e nelle statistiche nazionali, ma ne delinea il percorso, contribuisce a rendere più inclinata la curva decrescente dell’aggravamento nazionale. I nostri numeri risultano “alterati”, la quantità dei nostri pasti si è modificata quasi raddoppiandosi, le utenze si sono ampliate e diversificate rispetto alle fasce sociali tradizionali che venivano ospitate alle nostre tavole prima del Covid19. Agli oltre 250 pasti giornalieri, mediamente distribuiti da inizio anno presso le nostre tre sedi, oggi registriamo un incremento che si avvicina drammaticamente all’80%. Ai senza fissa dimora, alle utenze economicamente più svantaggiate, alle solitudini nascoste nei condomini dei quartiere, oggi si sono aggiunte altre realtà mai prima contemplate nelle nostre valutazioni di utenza.

Oggi abbiamo richieste di supporto da parte delle c.d  “partite iva”, dai lavoratori del turismo a quelli della cultura e della ristorazione, dai contratti a tempo determinato a quelli a progetto e – dato ancora più allarmante – interi nuclei familiari, in seguito al congelamento del lavoro da pandemia, avendo compromesso il conseguimento di ogni forma di reddito, ci chiedono aiuto. Il virus ha ridisegnato la geografia delle nostri ospiti ampliandone i confini e aggravando, per noi, la garanzia della nostra presenza quotidiana. Come tutte le organizzazioni di volontariato, il nostro futuro è legato alle donazioni e agli aiuti che vengono elargiti da parte dei cittadini e dei privati. Fortunatamente questa macchina di solidarietà non si è mai fermata anche con i primi spiragli di crisi, ma il dubbio poggia sulla continuità per il futuro. Un brusco calo dei consumi renderà meno certo il consueto sostegno da parte di alcune importanti aziende che hanno sposato la causa e il progetto delle Cucine Popolari.
Il quadro che si propone oggi, nelle file che ogni giorno si direzionano verso l’ingresso delle nostre mense, è questo: nuove fragilità sono entrate senza alcuna previsione ad ampliare il numero e la categoria delle nuove povertà. Non sappiamo se trattasi di “povertà momentanee” o di nuove forme di povertà, ma la loro provenienza è senza dubbio nuova rispetto agli strati di società con i quali siamo abituati a interagire. Nuove potenziali categorie del bisogno si stanno delineando, nuove fragilità sembrano prendere forma e ci chiedono la garanzia nel sostenerli almeno per un pasto. Nuove patologie della psicologia sociale, costituiranno moderne branche medico- sociologiche da post-Covid19.

Una nuova povertà si sta diffondendo sul territorio con la stessa capillarità del virus.

Di fronte a questo scenario imprevisto dai risvolti incerti, l’S.O.S che le comunità indirizzano alla politica è di estrema urgenza. Abbiamo bisogno di interventi immediati, abbiamo bisogno di Europa non esclusivamente economica, l’unica che fino ad oggi abbiamo conosciuta. Rivendichiamo quell’Europa dai nobili valori tanto cara ai padri fondatori, desideriamo un’Europa dei popoli così come la sognava Spinelli. C’è bisogno di un’Europa che si faccia comunità vera di fronte a un problema che ha raso al suolo futuro e speranze. Abbiamo bisogno di solidarietà la stessa che l’Italia scoprì di avere nei primi decenni successivi alla fine del conflitto. La partecipazione deve allargarsi e non restare chiusa attorno all’ «Io» della sopravvivenza. Il Paese necessita di nuovi spazi di futuro, dove il domani deve avere la prerogativa di essere costruito collettivamente. Solo una prospettiva di comune partecipazione può produrre la giusta energia per un avvio simultaneo, determinando l’allineamento di tutti sulla linea della partenza. L’Italia adesso più che mai, non può permettersi di lasciare indietro nessuno, è obbligo di tutti smentire la popolare quanto infondata espressione: “siamo tutti sulla stessa barca”.

Non è così, alcune barche sono diventate zattere, altre stanno affondando, alcuni sono già annegati, altre non hanno nemmeno modificato la rotta e proseguono solide la propria traversata.

Abbiamo bisogno di utilizzare l’unica parte del volto che ci rimane scoperta dalla prevenzione: gli occhi. La società ha bisogno di guardarsi negli occhi con fiducia, senza alcuna retorica oggi, c’è davvero bisogno affinché il più forte tenda una mano al più debole, non possono esserci altre formule politiche vincenti di “costruzione” se non quelle ispirate dalla solidarietà e dal mutuo soccorso. Lo Stato deve intervenire in modo tangibile, in parte lo ha già fatto ma non sarà mai sufficiente a restituire dignità e coraggio a chi, solo qualche mese fa, credeva di avere un futuro strutturato e sicuro.

Questa pandemia, al di là degli aspetti propriamente medico-sanitari, ci ha messi di fronte a una dura realtà: l’essere umano è vulnerabile, le certezze non esistono e i contesti in cui ognuno di noi credeva di farne saldamente parte, si sono dimostrati fragili e facilmente attaccabili. E’ da questa riflessione che dobbiamo ripartire, dall’idea che nulla è davvero come ci appare e che solo guardando gli altri possiamo meglio garantire il futuro a noi stessi e alle nuove generazioni che questo Mondo ferito erediteranno.


Roberto Morgantini è il creatore della Cucine Popolari di Bologna

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2 COMMENTI

  1. Canada – 40 vescovi anglicani e luterani hanno inviato una lettera inviata al Primo Ministro Justin Trudeau. La lettera chiede: “un nuovo contratto sociale, che definisce una nuova relazione tra i Canadesi, attraverso il ruolo di mediazione del nostro governo: articoleremo una relazione dove sapremmo, con certezza duratura, che parte della nostra spesa pubblica fornirebbe reddito ad altri. Con un Reddito di Base Garantito affermiamo in modo chiaro e definitivo che nessuno verrà danneggiato dal sistema in modo così catastrofico da non poter nutrire e avere un tetto per se stessi e le proprie famiglie; che nessuno venga lasciato così solo e così indietro da non riuscire a trovare una via d’uscita dalla precarietà.”
    https://www.facebook.com/groups/IstituzioneRedditoDiBaseUniversalePetizione/permalink/657780715066410/

  2. Un idea : un prelievo di un tot per cento su tutti i i dipendenti, che in questo periodo hanno avuto stipendi, pensioni, che non hanno subito quello che per tanti, troppi ha causato questa crisi che come ripeto non ha toccato alcune categorie minimamente e che chiamerei. . . Contributo di Solidarieta.!!!!!!

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