La violenza contro le donne riguarda tutti. Cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare
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La violenza contro le donne è una drammatica realtà riscontrabile trasversalmente in tutto il pianeta e in alcune zone del mondo è un fenomeno del tutto ignorato e che si manifesta con una ferocia impressionante. Ad affrontare in maniera netta e fornendo per la prima volta gli strumenti giuridici vincolanti per tutti gli stati per creare un quadro normativo il più possibile omogeneo è stata la Convenzione di Istanbul, aperta alla firma nel 2011. L’Italia ha ratificato quella convenzione con la legge n. 773/2013 e ad oggi la Convenzione, firmata da trentadue Stati, è stata ratificata solo da otto Stati.

Il principio cardine è che la violenza contro le donne è una violazione di diritti umani, di cui si è titolari dal momento della nascita e che costituisce una delle più gravi discriminazioni delle donne. Il diritto all’integrità fisica e all’inviolabilità della donna è un diritto fondamentale e ciò implica che nessuno, ma proprio nessuno, si può permettere di non riconoscere o di violare una donna, sia nella sfera privata che in quella pubblica. Assurgere a diritti non negoziabili, quelli di cui sono titolari le donne rispetto anche alla violenza contro di loro, non è solo un bell’esercizio retorico e di generosità, ma impone la messa in atto di azioni positive da parte degli Stati affinché quei diritti siano effettivi e conseguentemente tutelati.

Da quella ratifica molti sono stati gli interventi legislativi che hanno permeato e plasmato (anche se non ancora abbastanza) il nostro sistema giuridico dell’impianto normativo -diciamo noi giuristi- della Convenzione. E’ una vera e propria bussola che permette di leggere e di interpretare ogni disposizione in tema di violenza e di intervenire per assicurare i diritti fondamentali delle donne. La sua valenza dovrebbe essere equiparata a quella delle Costituzioni, se non fosse che non esistono costituzioni internazionali, sotto il profilo della necessità di sovraordinarla alla legislazione ordinaria.

Durante la fase acuta della pandemia da covid-19 ci siamo, fin dal principio, preoccupate della condizione delle donne che subiscono violenza domestica in una situazione in cui lo stare a casa era l’imperativo necessario per salvaguardare la propria vita e quella dell’intera nazione. La casa, tuttavia, non è il luogo sicuro per tutti e soprattutto non lo è guardando ai dati (fonte Istat): il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza nel corso della propria vita, il 13,6% proveniente da un partner o ex partner e se il 68,6% delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato, è proprio a causa della violenza subita; nel 93,4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche, nel 64,1% si riportano anche casi di violenza assistita, cioè quella davanti ai figli della donna.

Quello stare a casa forzato delle donne e dei loro figli per la necessaria chiusura delle scuole si è accompagnato ad un calo verticale delle denunce delle violenze, in particolar modo nella prima fase di lockdown, in cui appunto le donne vittime di violenza hanno percepito il venir meno di tutte le reti di supporto necessarie ad uscire dall’incubo della violenza, da quelle istituzionali a quelle familiari ed amichevoli. Uno dei passaggi più delicati e complessi per la donna che subisce violenza è trovare la forza di poter denunciare, di portare all’esterno della sua relazione privata, della sua casa gli abusi che subisce perché intervengono molti fattori, interni ed esterni, che vengono visti come un impedimento e perché talvolta il grado di violenza è talmente profondo che la donna stessa si sente completamente annullata. Questa combinazione tra chiusura nelle case e al contempo interruzione delle relazioni con il mondo esterno poteva essere assolutamente negativa se non si fosse intervenuti con la campagna di diffusione del numero verde 1522, cui le persone che subiscono violenza possono rivolgersi per chiedere aiuto e per innescare tutte le procedure previste dalla Convenzione di Istanbul, che permettono di Proteggere -una delle tre P della convenzione insieme a Prevenire e Punire – la donna ed i suoi figli vittime anche loro di violenza assistita. Altro gravissimo reato ed orrenda esperienza di vita dei minori che li segna per tutto il corso della loro esistenza.

La campagna è stata fatta propria da tutto il governo e dalla Presidenza del Consiglio che hanno investito in termini di risorse e di comunicazione, le due strade anche da noi indicate, per diffondere la conoscenza sui Media nazionali dell’esistenza di questo numero verde e di destinare risorse che aiutassero i centri anti-violenza e le case rifugio ad avere le risorse necessarie (mai abbastanza), per poter aiutare le donne in una condizione di emergenza sanitaria in cui era necessario avere più personale, spazi e dotazioni per poter accogliere le donne che dovevano invece lasciare le case in cui loro stesse ed i loro figli venivano ogni giorno e spesso per molti anni abusate, picchiate, malmenate, tenute in schiavitù, insultate, annullate e talvolta anche uccise.

La campagna 1522 è stata poi affiancata dalla predisposizione di una App da scaricare sul telefonino che consentisse alle donne che non potevano neanche fare una chiamata per la presenza costante dell’uomo violento nelle case di raggiungere le forze di pubblica sicurezza che attraverso il sistema di geolocalizzazione individuavano il luogo della violenza e predisponevano un intervento mirato. La necessità di offrire altri strumenti nei confronti delle donne che subiscono violenza ci ha fatto promotrici anche della campagna #mascherina1522 che, sul modello di quanto previsto in Spagna prima ed in Francia dopo, coinvolgeva le Farmacie come luogo in cui poter trovare le informazioni utili per uscire dal dramma della violenza e che è sfociato in un accordo tra i vari rappresentanti del mondo delle Farmacie e il ministero delle Pari Opportunità.

Non si tratta come alcuni erroneamente sostengono di un nome in codice da pronunciare per ottenere aiuto, ma di un nome simbolico che collegandosi al periodo di pandemia dice a chiare lettere che la lotta contro la violenza nei confronti delle donne coinvolge tutti quanti a vari livelli e che ciascuno si adopera per le proprie risorse e possibilità ad aiutare le donne che subiscono violenza ad uscire da questo dramma per salvare loro stesse ed i loro figli. Le farmacie diventano un luogo di prossimità che fornirà le informazioni utili per le donne anche per il loro collegamento con il territorio. Le iniziative indicate hanno dato un grande risultato come dimostrano i dati (fonte Istat) per cui durante il lockdown sono state 5.031 le telefonate valide al 1522, il 73% in più sullo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono 2.013 (+59%). Le denunce per maltrattamenti in famiglia sono diminuite del 43,6%, quelle per omicidi di donne del 33,5%, tra le quali risultano in calo dell’83,3% le denunce per omicidi femminili da parte del partner. Certamente si tratta di dati che dovranno essere monitorati sul lungo periodo, ma disegnano già da subito l’entità del fenomeno e della necessità di non mollare sul terreno della violenza perché solo attraverso la presenza forte dello Stato e delle sue Istituzioni si può dare una risposta efficace per le donne.

La strada da fare è ancora tanta e tutta in salita per estirpare dalla società e dagli esseri umani questa orrenda pratica di usare violenza per dominare e per esercitare il proprio potere sull’altra ed è per questo che si deve continuare sulla linea indicata da Istanbul grazie alla quale oggi abbiamo anche il numero 1522 e si è alzata l’attenzione (non ancora abbastanza) al tema. Sarebbe importante che anche tutti i luoghi frequentati dalle donne, gli uffici postali, le banche, i supermercati, i centri commerciali, potessero sposare la campagna #mascherina1522 e diventare degli alleati alla lotta contro la violenza predisponendo del materiale informativo che indichi i modi per uscire dalla violenza. Sarebbe importante che la Convenzione di Istanbul venisse spiegata in tutte le scuole di ogni ordine e grado, nelle università, per mettere in atto la necessaria attività di Prevenzione – che è una delle tre P di Istabul come si diceva – perché non ci siano più donne che debbano essere private di un loro diritto fondamentale.

Serve dunque un impegno serio e duraturo da parte del Governo di rafforzare le istituzioni e i centri pubblici ai quali le donne possano rivolgersi per denunciare la violenza perché è da quel momento che la donna deve essere accolta e protetta; dunque fare corsi di formazione agli addetti delle forze di pubblica sicurezza per ricevere adeguatamente la denuncia di violenza senza colpevolizzare la donna o minimizzare fatti gravi invitandole a tornare a casa che tutto si sistema; formare il personale sanitario dei pronto soccorsi che siano in grado di capire che quando una donna vittima di violenza arriva dichiarando di essere caduta o di aver sbattuto è invece evidente o si può facilmente desumere che è stata malmenata; sostenere i centri antiviolenza in cui l’impegno quasi missionario delle operatrici non può bastare, ma necessita di risorse adeguate come necessitano le case rifugio. Serve che la Convenzione sia conosciuta ed applicata dagli avvocati e dai magistrati, dai consulenti del tribunale che nella loro attività giudiziaria provocano dei danni immensi ed a volte irreversibil quando se ne discostano. Questa è la strada, non ce ne sono altre e noi quella strada dobbiamo percorrerla tutti insieme.


Avv.ta Andrea Catizone, Staffetta Democratica

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