Per un rilancio delle aree interne nell’era post pandemia
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Oggi ci troviamo di fronte ad uno spartiacque, siamo d’innanzi ad una crisi globale senza precedenti che ci impone una riflessione politica capace di valorizzare la dignità delle persone che più soffriranno i disagi socioeconomici in arrivo: gli abitanti delle aree interne, periferiche e rurali del Paese.

Contrariamente a quanto spesso si dice le aree interne non sono solo i territori abbandonati del centro e del sud Italia, aree interne sono tutti quei luoghi sconnessi, emarginati dalle opportunità della città, logorati dal sogno di un riscatto irraggiungibile che vive nella dimensione del bisogno dei suoi abitanti. Se è vero che la globalizzazione oggi ha la caratteristica di trasformare usi e costumi di luoghi vicini e lontani ai nodi urbani della rete globale, allora l’essere periferia diventa una variabile costante, assume una condizione mobile legata alla cura dei luoghi nei quali le infrastrutture, il commercio, l’innovazione e la produzione non arrivano, dalle vallate lombarde alle colline irpine.

Nei prossimi mesi questi luoghi dell’Italia rurale e rugosa rischiano di essere terreno di conquista della criminalità organizzata. Che cavalcherà la disperazione per riciclare denaro.

Prima che accada l’irreparabile, è necessario continuare ad implementare il Piano Sud come sta facendo il Ministro Provenzano. Ed elaborare in maniera radicale un ripensamento di ciò che sono state fino ad ora le aree interne del Paese, in termini di economia e servizi sul territorio. Ad esempio, il Covid ha dimostrato la scarsa preparazione della medicina di queste aree e sarebbe necessario spingere rispetto ai maggiori investimenti in sanità come il Ministero della Salute si sta muovendo in tal senso. Dopo anni di tagli dovuti alla scarsa appetibilità elettorale dei luoghi interni, il nostro partito deve battere un colpo. Anche se deve andare contro parte della sua classe dirigente sul territorio, il Partito Democratico ha il dovere di scuotere l’albero: vuole affidare la ricostruzione di questi luoghi a quei notabili conservatori cui spesso si è affidato? Il dopo Covid mette questa comunità di fronte ad un bivio: continuare a dare ossigeno a quei politicanti che hanno fatto delle clientele la propria cifra impoverendo le aree interne oppure inaugurare un nuovo percorso. Perché dopo la cocente sconfitta del 2018 poco e nulla è stato fatto.

E allora ripartiamo dalla politica, dai partiti e dalle persone oneste che nulla ha da chiedere, solo in una rinnovata alleanza, possono dar voce all’ormai stanco grido d’aiuto dei territori dimenticati; solo attraverso un dialogo con il terzo settore, i sindacati, le organizzazioni di categoria potremo rinsaldare una cultura politica fondata sui valori della solidarietà, come abbiamo fatto nell’evento “La lingua pensa per noi” lo scorso gennaio, organizzato con l’Associazione Democrazia Esigente. 

Aprire una discussione sul ruolo politico della rappresentanza, dei confini amministrativi e delle province nell’era della globalizzazione, riprendendo in mano il disegno costituzionale del Titolo V, potrebbe riaccendere la speranza di un cambiamento. Perché se oggi sussiste un’interdipendenza che definisce la globalità delle cose, rispetto ad essa il locale è ciò che ne subisce le conseguenze senza poter concorrere al suo destino, come è stato per la pandemia del coronavirus.

Al nostro partito e al Governo spetta il dovere di ricostruire un legame tra le aree interne italiane e il mondo.

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