Nel silenzio di Trudeau le parole della responsabilità
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Hanno fatto molto scalpore i 21 secondi di silenzio con cui il premier canadese, nel corso di una conferenza stampa, ha risposto alla domanda di un cronista sulla gestione da parte di Donald Trump delle proteste esplose negli Stati Uniti dopo l’omicidio di George Floyd da parte di un uomo delle polizia di Minneapolis.

Come spesso succede, purtroppo, ci si è fermati ad osservare (se così si può dire) l’aspetto più superficiale della reazione di Trudeau. Ossia, appunto, quel lungo silenzio. C’è chi lo ha derubricato ad imbarazzo, chi ne ha parlato in termini folcloristici e caricaturali. Noi pensiamo invece che quel silenzio celi ben altro. E le parole che il primo ministro ha fatto seguire a quei 21 secondi di silenzio ne sono la dimostrazione.

“E’ incredibile e inaccettabile – ha detto – che, nonostante il progresso che coinvolge le nostre società, dobbiamo ancora assistere a questi atti di ingiustizia. Sono fatti che oggi toccano gli Stati Uniti, ma che riguardano anche tutti noi come canadesi. Anche qui, i canadesi di colore e le altre minoranze sono soggetti, ogni singolo giorno, ad atti di ingiustizia ed intolleranza. E’ una cosa che non possiamo più accettare, contro la quale dobbiamo combattere, non solo come governo”.

Per chi non lo conoscesse, Justin Trudeau non è tipo da farsi mettere in imbarazzo da una domanda. E non è certo quel tipo di politico che, non sapendo cosa dire, fa una scena muta in pubblico senza che questa sia voluta e ben ragionata. Cosa ci ha voluto dire il premier canadese – che, non dimentichiamolo mai, è uno degli uomini di governo che si pone da sempre agli antipodi rispetto alle politiche di Donald Trump – con il suo silenzio?

In realtà, crediamo che quel silenzio significhi innanzitutto rispetto ed omaggio. Un tributo alle centinaia di vittime dell’odio razziale, alle migliaia di persone perseguitate ogni giorno nel mondo, a cui non vengono garantiti i diritti base, le cui prerogative, aspirazioni, possibilità vengono calpestate regolarmente. Venti secondi di silenzio per ricordare George Floyd e la sua orribile morte in mondovisione, soffocato sotto il peso del corpo di un uomo delle forze dell’ordine, mentre ansimava quel “Can’t Breathe” divenuto il simbolo delle proteste.

In quei venti secondi di silenzio, poi, c’è una netta presa di distanza dalle parole d’odio con Donald Trump sta accompagnando questa fase difficilissima per la tenuta della democrazia americana. Parole e atteggiamenti che altro non fanno che infuocare un terreno già incandescente, davanti al quale l’irresponsabilità del presidente sta maledettamente complicando le cose.

E poi, in questi venti secondi di silenzio, c’è tutto ciò che viene detto dopo. Non credete a chi vi vuol far credere che il problema siano le proteste, che pure, nelle loro degenerazioni, vanno condannate e represse con fermezza. Il problema è il razzismo, il problema è l’ingiustizia, il problema sono le nostre società dove scorre silenzioso ma drammaticamente pervasivo il veleno dell’odio e della violenza.

Compito della politica è fare da antidoto, costruire gli anticorpi per questo virus. Non contribuire al contagio.

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