Riconoscere e sostenere la memoria storica per affrontare il domani
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Una legge che riconosca e sostenga la rete degli istituti storici della resistenza e dei paesaggi della memoria


Può sembrare paradossale, nel momento in cui soprattutto si tratta di pensare e progettare il futuro, occuparsi di come preservare la memoria storica, al fine di valorizzarla e trasmetterne gli insegnamenti alle generazioni che verranno.

E invece proprio le “circostanze”, le tensioni cui sono sottoposte, non solo da oggi ma oggi con particolare turbolenza, le nostre istituzioni democratiche, nel rapporto tra i diversi poteri, nel conflitto di competenze tra il potere centrale e i poteri periferici, inducono a tornare caparbiamente sull’esigenza di conoscere la storia, complicata e non priva di contraddizioni, dalla quale è nata la nostra democrazia.

La pandemia e l’emergenza che né è scaturita hanno amplificato in modo esponenziale problemi già da tempo aperti sulla scena europea, molto spesso evocando, in modo per tanti aspetti approssimativo, l’immagine della “guerra”  per il gran numero di vittime e danni causati dal virus, e quella della “ricostruzione” per le speranze di rinascita.

L’attacco da più parti portato al progetto di Europa, nato dal sogno di Ventotene  e avviato con il trattato di Roma quale nuova idea di convivenza pacifica e democratica tra i popoli del continente, dopo le tragedia del secondo conflitto mondiale, della Shoah, dell’atomica di Hiroshima e Nagasaki; il risorgere dell’estremismo nazionalista, che fu alla radice dei cruenti conflitti che sconvolsero il mondo nel “secolo breve”; la messa in discussione dei capisaldi della democrazia liberale; il risorgere nel nostro Paese di movimenti di natura fascista, xenofoba e razzista, la disinvoltura con la quale nelle piazze e, sempre più spesso, sui social media vengono utilizzati simboli e terminologie direttamente derivate dall’esperienza storica del fascismo e del nazismo: tutto ciò, insieme ai preoccupanti episodi di violenza spesso portati verso i più deboli e indifesi, ci dice di un magma antidemocratico ribollente nelle viscere della nostra società e di una gamma di sub-culture che circolano come tossine nel nostro corpo collettivo.

Di fronte al quale occorre erigere un solido argine, fondato certo sulla mobilitazione civile, ma consolidato con una più diffusa, capillare e aggiornata conoscenza della storia d’Italia e d’Europa tra il primo conflitto mondiale e l’età contemporanea.

Naturalmente, non è questa la sede per entrare nel merito di una discussione che richiederebbe ben altro spazio. Vale la pena, invece, ancora nel clima delle “celebrazioni” a distanza di alcune ricorrenze fondamentali della nostra vicenda democratica e repubblicana, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, formulare una proposta indirizzata proprio a rafforzare il ruolo di alcune più rilevanti istituzioni e associazioni culturali che da moltissimo tempo, e spesso con grande qualità nonostante i pochi mezzi, svolgono una preziosa attività di ricerca e formazione nel campo della storia contemporanea,

Mi riferisco in particolare alla rete degli Istituti per la storia della Resistenza, regionali e provinciali, raccolti intorno all’Istituto nazionale “Ferruccio Parri”, e alla rete dei “Paesaggi della memoria”, più di recente costituita da una molteplicità di esperienze territoriali, sorte intorno a molti dei luoghi che sono stati teatro di alcune delle vicende più significative, e dolorose, del percorso che ha portato l’Italia alla conquista dell’attuale assetto democratico e repubblicano.

Nel 1967, con la legge n. 3 del 16 gennaio, Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, lo Stato italiano sancì il riconoscimento giuridico dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (ora Istituto “Parri”) e degli Istituti regionali e provinciali ad esso associati. Erano gli anni del centrosinistra e in quella cornice politica e istituzionale trovò esito legislativo il percorso avviato un decennio prima.

In un quadro politico e istituzionale completamente diverso, per molti versi del tutto opposto, quella legge è stata abrogata, auspice il ministro leghista alla semplificazione, Roberto Calderoli, con decreto legislativo del 13 dicembre 2010, n. 212.

Un semplice tratto di penna è bastato al centrodestra per cancellare quella norma, senza suscitare peraltro particolari reazioni, in un’Italia che proprio in quel frangente si stava avvitando nel tragico scivolamento verso il rischio default, e forse faticava a pensare ad altro che non fosse la propria tenuta finanziaria, economica e sociale.

E, tuttavia, quel vulnus resta e va rimarginato, non solo per rispetto ai valori fondanti la nostra Repubblica, posti alla base dell’attività dell’INSMLI sin dalle origini, ma anche per la mole di lavoro che nel corso dei decenni la rete degli Istituti storici della Resistenza ha svolto, attraverso ricerche, convegni, pubblicazioni, attività didattiche e di formazione, rivolte tanto agli studenti quanto ai ricercatori.

Tanto sul piano tematico quanto sul terreno metodologico, la rete dell’Istituto “Parri” è stata l’incubatrice di una profonda innovazione della ricerca storica tanto nell’uso di nuove fonti, prime tra tutte le testimonianze orali e le raccolte archivistiche locali, quanto nel positivo incontro tra la dimensione nazionale, europea e globale della “grande storia”,  e la scala della “piccola storia”, legata alle vicende dei gruppi, delle personalità, delle comunità in ambito locale.

Soprattutto, attraverso questa multiforme e poliedrica attività, gli Istituti per la storia della Resistenza hanno accumulato un patrimonio di valore enorme, fatto di fondi archivistici originali, di materiali multimediali preziosissimi, di biblioteche di grande insostituibili, sia per la completezza di talune raccolte sia per la ricchezza di una pubblicistica locale altrimenti pressoché introvabile.

Sino ad oggi la rete ha retto. Dallo Stato non sono mai completamente mancati i contributi e le convenzioni che hanno consentito il distacco del personale del MIUR, per coprire in particolare la parte di attività didattica. Ma l’afflusso di risorse dal fronte delle Regioni e degli Enti Locali, decisivi per la sopravvivenza minima delle attività, pur senza completamente interrompersi, è divenuta via via più difficile.

Un po’ per questioni “politiche”, legate alla difficoltà che talune forze ancora manifestano nel riconoscersi in quei valori comuni di gli Istituti sono custodi; un po’ per il ridimensionamento conosciuto nel corso degli ultimi anni dalla finanza pubblica locale.

Una legge con la quale lo Stato ripristini il riconoscimento giuridico dell’Istituto nazionale “Ferruccio Parri” e degli Istituti associati, estendendone gli effetti anche ai luoghi ricompresi nella rete dei “Paesaggi della memoria”, di più recente istituzione ma altrettanto rilevante sul piano del valore morale, civile e scientifico, prevedendo per queste realtà un adeguato sostegno finanziario, è necessaria. Ed è questo il momento per farla.


Daniele Borioli è membro della Direzione nazionale del Partito Democratico e presidente dell’associazione “Memoria della Benedicta”

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