L’ultima campanella virtuale di un anno scolastico vissuto per metà fuori dagli spazi e dai tempi convenzionali sta per suonare. Che nelle scuole si celebri o meno il rito di passaggio per i bambini e i ragazzi che terminano un ciclo, la proposta della viceministra Anna Ascani ha certamente ottenuto il risultato, niente affatto scontato, di stimolare nell’opinione pubblica il dibattito su un tema come quello della scuola che rischiava di rimanere ai margini dell’agenda politica per la ripartenza del Paese nonostante riguardi e coinvolga milioni di famiglie. Un controsenso che l’idea del saluto finale ha avuto il merito di illuminare.
Dopo il via libera del Comitato Tecnico Scientifico e con il fondamentale supporto delle istituzioni locali in varie parti d’Italia dirigenti scolastici, insegnanti, famiglie stanno cogliendo questa opportunità di organizzare in spazi all’aperto, non necessariamente nel giorno indicato come l’ultimo dal calendario scolastico, un momento di saluto. E’ una bella opportunità. Per i ragazzi naturalmente, ma anche per le famiglie e gli insegnanti, per l’intera comunità educante e anche per una classe politica e amministrativa che sia in grado di assumersi responsabilità di fronte al Paese, alle cittadine e ai cittadini.
Non mi convince infatti l’obiezione di chi ritiene che sarebbe stato meglio occuparsi della riapertura di settembre che della chiusura di giugno. Non si capisce infatti come e perché le due cose dovrebbero escludersi o l’una compromettere l’altra. Sperimentare soluzioni oggi significa creare opportunità per il domani. Esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per immaginare, con serietà ma anche con coraggio, come adattare modi, spazi e tempi della scuola all’esigenza di convivere per un certo periodo con il Covid il più in sicurezza possibile.
Un compito che evidentemente non può essere lasciato solo sulle spalle delle scuole e dei dirigenti scolastici. Servono indicazioni chiare dall’amministrazione centrale ma anche il contributo degli enti locali. In questi giorni e anche per i prossimi, molti sindaci si stanno organizzando per mettere a disposizione delle scuole che ne facciano richiesta piazze, giardini, ville, spazi pubblici all’aperto in cui a turno le classi possano incontrarsi e salutarsi. Sono amministratori che hanno perfettamente colto lo spirito della proposta e ne ravvedono tutte le opportunità non solo per i ragazzi ma per l’intero territorio.
E’ anche grazie a loro, oltre che naturalmente a tanti docenti, che molti bambini e ragazzi potranno finalmente chiudere un capitolo importante della loro vita prima di aprirne uno nuovo. E’ grazie alla collaborazione virtuosa tra la scuola e il resto del territorio se sarà possibile ricucire la frattura violenta e improvvisa che si è consumata tra un prima che non tornerà più e un dopo tutto da costruire e se gli studenti non saranno lasciati da soli a disegnare quella necessaria cornice di senso intorno al vuoto di relazioni che il lockdown ha spalancato nella loro quotidianità.
Se abbiamo creduto e continuiamo a credere nell’importanza del rito di passaggio è perché crediamo che ai bambini e ai ragazzi vadano restituiti al più presto tempo, spazio e relazioni arricchenti e qualificanti. Da qui l’impegno per la riapertura dei centri estivi, la ripresa dei servizi educativi per la fascia 0-3 e quindi la progressiva uscita dall’invisibilità dei più piccoli, vittime, purtroppo, di un odioso pregiudizio che da una parte li ha stigmatizzati come i principali veicoli di contagio, dall’altra li ha relegati ad affare privato delle famiglie escludendoli dalle responsabilità che l’intera società ha il dovere di assumersi. Una visione sbagliata, per quanto diffusa, che purtroppo rischia di essere legittimata anche dalle scelte, o forse è meglio dire dalle mancate scelte, di quelle amministrazioni che invece di riaprire spazi di socialità chiudono, come a Roma, le aree ludiche dei giardini pubblici.
Voler celebrare l’ultimo giorno di scuola non è né un attentato alla salute pubblica né tantomeno un capriccio per sentimentali. E’ una scelta dettata dalla volontà di restituire ai ragazzi fiducia nelle relazioni umane ma anche nelle istituzioni. Significa tradurre concretamente l’idea che la scuola non coincide solo con le quattro mura di un’aula e non si esaurisce nel perimetro di un edificio ma è fondamentalmente comunità fisica e ideale e che tale rimane anche attraverso lo schermo di un pc o in quegli spazi diffusi che oggi vanno cercati, mappati e attrezzati in vista della riapertura di settembre in presenza e in sicurezza per tutti.
Questo è e deve essere l’obiettivo sul quale dobbiamo investire da subito energie, competenze e risorse e costruire una grande alleanza che coinvolga tutte le parti. Nei giorni scorsi l’Associazione nazionale dei presidi del Lazio, guidata dal professor Mario Rusconi, ha inoltrato ai dirigenti scolastici un questionario per effettuare una ricognizione oggettiva della situazione delle nostre scuole sia rispetto ai numeri (quanti studenti, quanti insegnanti, quanti lavoratori e operatori di associazioni che svolgono attività extrascolastiche) che agli spazi interni ed esterni a disposizione di ciascun istituto. Si tratta di una mappatura necessaria e propedeutica a conoscere il reale fabbisogno delle scuole per garantire il distanziamento fisico della popolazione scolastica. Per questo sarebbe utile estenderla a tutto il territorio nazionale e che i Comuni individuassero, contestualmente, tra le strutture afferenti al patrimonio pubblico ulteriori spazi da mettere a disposizione degli istituti per ridurre il numero di alunni per classe.
E’ un percorso sicuramente complesso che richiede visione, condivisione, un investimento politico forte e anche una buona dose di perseveranza e buona volontà. Ma è l’unica alternativa al plexiglass e i nostri bambini e ragazzi se la meritano tutta.
Claudia Daconto fa parte della segreteria Pd Roma ed è componente della Direzione nazionale Pd