Da anni questo paese si trova ad affrontare un problema non indifferente per quanto riguarda il mondo accademico. Da una parte il numero di laureati italiani è inferiore rispetto alla media europea e, dall’altra, non si riesce a fermare l’emorragia di neolaureati che lasciano il nostro paese in cerca di un futuro migliore all’estero. Ogni ragazzo costretto a lasciare il paese per potersi realizzare è una sconfitta per tutti perché non solo priva l’Italia delle sue migliori risorse ma dà anche l’idea di un paese non in grado di dare una possibilità alle nuove generazioni.
Non è una questione che si può limitare ad alcuni corsi da laurea (come possono essere medicina, fisica o ingegneria) ma è un problema endemicamente diffuso in tutti gli atenei. Io studio Beni Culturali e, nonostante l’Italia sia uno dei paesi che più di tutti dovrebbe comprendere la necessità di investire sulla cultura, il mio futuro è, per essere gentili, incerto. Davanti a me vedo gli esami per diventare guide turistiche fermi al 2014, le sovrintendenze sovraccariche di lavoro ma con personale assente e il nostro patrimonio culturale, soprattutto quei siti meno conosciuti e visitati, troppo spesso poco valorizzato e tutelato. Ma come me molti altri ragazzi condividono un senso di insicurezza e angoscia verso un futuro difficile e che da ben poche sicurezze.
Oggi più che mai bisogna rimettere i giovani e le università al centro dell’azione politica. Il virus ci costringe a fare spesa in deficit che, inesorabilmente, dovrà essere ripagata dalla mia generazione e, proprio per questo, credo che i nostri interessi debbano essere tenuti in considerazione. Se siamo noi a dover ripagare il debito che faremo oggi non è forse giusto che, almeno, le nostre idee vengano ascoltate? Sono stati elargiti molti soldi a lavoratori e imprese, ma troppo pochi per gli studenti universitari. Sarebbe stata una bella idea, ad esempio, estendere la validità delle rate pagate quest’anno anche al prossimo anno accademico, soprattutto alla luce delle molte difficoltà che gli studenti stanno riscontrando nella didattica a distanza. Perché no, la didattica a distanza, non sta funzionando (per non dire che è un semi-fallimento).
Un’altra idea sarebbe quella di evitare che chi resti indietro di qualche esame, magari perché non ha un computer o una connessione sufficientemente veloce e stabile, non debba pagare la mora per i fuori corso. Un’altra iniziativa che andrebbe intrapresa sarebbe quella di stanziare un fondo per aiutare quegli studenti fuori sede, magari già anche tornati a casa, costretti a continuare a pagare l’affitto. Per non parlare poi della mancanza di organizzazione verso la riapertura degli atenei che, a quanto pare, vogliono prolungare la didattica a distanza fino al 2021. Ma se parte l’ippica, ripartono le palestre e le piscine, riaprono i negozi e i centri estetici, perché l’università deve aspettare gennaio 2021 e non può riaprire, in sicurezza, già a settembre (almeno per gli esami)?
Ma l’attenzione all’università non si può fermare solo alle misure emergenziali per superare la fase di pandemia che stiamo vivendo. Serve una nuova attenzione al mondo accademico sia per quanto riguarda le borse di studio, cronicamente insufficienti rispetto alle richieste, che gli alloggi per i fuori sede, troppo spesso dover pagare un affitto diventa un’impresa troppo ardua per molte famiglie italiane, passando per un rinnovamento della classe docente che dia spazio alle nuove generazioni. Quando dico che la classe docente deve essere rinnovata non lo dico per una qualche forma di antipatia verso chi ha i capelli bianchi ma perché, troppe volte, mi sono trovato davanti a professori che ripetono le stesse cose da decine e decine di anni e sono, loro per primi, stufi e questo si riflette negativamente sulla qualità dell’insegnamento.
Dall’università uscirà la classe dirigente di domani e, proprio per questo, dovrebbe essere messa al centro dell’azione politica.