L’emergenza sanitaria che ha travolto inaspettatamente il nostro Paese ha generato degli effetti collaterali, oltre a quello drammaticamente principale, che hanno condizionato in maniera rilevante e determinante un insieme di diritti fondamentali degli esseri umani; alcuni di questi addirittura erano prima sconosciuti dagli stessi titolari. Più volte si è ragionato sull’esistenza di una gerarchia dei diritti previsti dalla Costituzione o se ci fosse, al contrario, un fisiologico rapporto di integrazione reciproca tra gli stessi, come pare suggerire la Corte Costituzionale nella sentenza n.85 del 9 aprile 2013.
Nel corso dei difficili mesi trascorsi si è anche molto discusso su quale fosse lo strumento legislativo più adeguato per poter condizionare in modo determinante alcuni diritti fondamentali, dapprima in ambiti territoriali limitati indicati quali Zone Rosse e, successivamente, con l’aumentare del pericolo, con un’estensione delle prescrizioni su tutto il territorio nazionale. Si è altresì evidenziato il conflitto potenziale tra alcuni specifici titolari di diritti costituzionali e se, di conseguenza, alcune categorie di soggetti potessero, a parità di grado di diritto, avanzare maggiori pretese di tutela rispetto ad altri in ragione della propria condizione personale. Ci si riferisce in particolar modo alle categorie vulnerabili in quanto tali: e nello specifico ai minori, oltreché ai migranti richiedenti asilo, ai detenuti, ai diversamente abili, agli anziani per citarne solo alcuni. Una preoccupazione che ha interessato i Garanti dei diritti fondamentali dei minori, a livello nazionale ed europeo (con la Rete Europea dei Garanti per l’infanzia e l’adolescenza, ENOC) che hanno richiesto ai governi di vigilare sull’impatto delle misure di contenimento del virus nei confronti dei minori proprio poiché maggiormente colpiti. Una preoccupazione che si dilatava a dismisura per i minori inseriti in contesti familiari o ambientali particolarmente difficili e complessi e che la pandemia ha reso insostenibili. In particolar modo la limitazione degli spostamenti e la permanenza domiciliare, le due misure più importanti, hanno avuto una molteplicità di effetti sul piano familiare e delle relazioni affettive di cui oggi si stanno manifestando i primi evidenti effetti e che si protrarranno a lungo.
Se ci si pone dal punto di vista dei diritti dei minori, del complesso dei diritti di cui sono titolari, si mette subito in luce come il sistema legislativo sia stato inadeguato nel rispettarne i fondamenti e come il sistema giurisdizionale d’altro canto, con una quasi completa sospensione delle sue attività, abbia dato risposte tardive e spesso contraddittorie ai problemi emergenti. Tralasciando il tema del diritto allo studio, la cui pienezza è tuttora in bilico e non ci sono ancora soluzioni convincenti per il rientro a scuola di settembre, è evidente che pur nelle immense difficoltà di trovare delle soluzioni che potessero contemperare le varie esigenze, alla fine la scelta è più che altro ricaduta sui minori, sacrificando i loro diritti. Da un lato non si è tenuto conto delle loro esigenze primarie e dall’altro alcuni diritti sono stati interpretati in maniera “piatta” senza tenere conto del loro preminente interesse. Le divergenze giurisprudenziali in tema di diritto di visita per i minori di genitori separati o divorziati, in situazioni particolari hanno stressato il senso di due principi fondamentali: diritto del minore alla bi-genitorialià e il superiore interesse del minore. E’ da rilevare che il rapporto tra il diritto ad avere un rapporto equilibrato e continuativo del minore con entrambi i genitori, Legge n. 54 del 2006, anche nei casi di separazione e di divorzio che viene riassunto nella formula della bi-genitorialità, e gli altri diritti di cui i minorenni sono titolari, è di mezzo a fine e non il contrario come ci capita spesso di leggere in provvedimenti giurisprudenziali. Per essere più precisi è chiaro che l’esigenza di assicurare un assiduo rapporto tra i minorenni e i genitori per rispettare il loro interesse superiore deve essere garantito laddove esso non entri in conflitto con altri interessi dello stesso rango.
In particolar modo si fa riferimento a quelle circostanze in cui il minore rifiuta di incontrare un genitore perché lo stesso ha commesso atti di violenza verso la madre, atti ai quali lo stesso ha assistito nel corso della sua vita. Qui occorre fare un’analisi molto approfondita e del caso specifico e mettere in relazione il procedimento civile in corso e quello penale, ad esempio come non ha fatto la Corte Costituzionale con l’ordinanza della prima sezione civile del 19 maggio 2020 n. 9143 in cui si è issata la bandiera del diritto alla bi-genitorialità intesa come un fine e non come un mezzo. Del resto anche la confusione interpretativa in fase di pandemia sul diritto di visita dei minori rispetto ai genitori non affidatari o non conviventi ha generato sconquassi, sempre a danno dei minori in mezzo ai fuochi dei genitori; tutto ciò è successp certo per la situazione inedita di un evento così inaspettato e straordinario, ma anche per l’assenza di una cultura giuridica dei diritti dei minori e della famiglia , adeguata alle necessità di una società complessa come quella attuale.
Tutto questo ci mette davanti ad una grande verità: è arrivato il momento per una grande riforma del diritto di famiglia, e cioè per una sua necessaria sistematizzazione normativa che parta dalla necessità non solo di sezioni specializzate nei Tribunali, ma di un vero e proprio Tribunale per la famiglia che consenta di fare dialogare le varie esigenze che al suo interno nascono e che sfociano in una ramificazione di procedimenti che si diramano nelle sedi civili e penali. Nel corso della pandemia ogni sezione del Tribunale ha emesso un protocollo che disciplinava le attività al suo interno, con una difficoltà immensa per il difensore di poter agire nell’interesse di una persona laddove le cause pendenti per la stessa fossero varie e pendenti in varie sezioni.
Serve anche una riforma dei servizi sociali e dell’assistenza sociale, i cui operatori oggi vengono posti, senza strumenti adeguati, davanti a bisogni primari dei minori. Bisogna poter dare risposte che non si possono dare e che richiedono tempi rapidi e talvolta rapidissimi; serve un luogo che sappia fare incrociare in tempo reale le varie domande di giustizia che le persone dentro le relazioni affettive rivolgono ai tribunali e che necessitano di attenzione da parte di chi svolge quel mestiere tutti i giorni della sua vita. Il costo di questa inefficienza del sistema giustizia in ambito familiare è drammatico e ricade sulle persone più fragili di questa catena sociale che spesso sono i minori che subiscono le decisioni altrui; ma che ricade anche sulla parte economicamente più debole che non può difendere sé stessa e i propri figli da un meccanismo in cui la forza economica spesso condiziona la qualità della difesa assunta. E’ drammatico ammettere questo stato di cose. Un sistema farraginoso, lento e talvolta inerme, in cui la burocrazia regna sovrana ( ad esempio per fare un atto esecutivo bisogna chiedere al tribunale un atto che poi bisogna depositare allo stesso tribunale!) e che incide sul diritto di difesa in maniera inaccettabile e non scusabile.
Il Covid-19 tra le tante negative esperienze che ci ha lasciato sarebbe bene che ci lasciasse una cosa positiva: affermare la volontà, senza esitazioni, di dare efficacia ai diritti dei minori dentro le famiglie, e ai loro diritti fondamentali. La società civile di questo ha un disperato bisogno.
Avv.ta Andrea Catizone, Staffetta Democratica