Volontariato e associazionismo, indicatori fondamentali dello stato di salute di una democrazia
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Qualche giorno fa si è fatto un gran parlare (sulla stampa e soprattutto sui social network) della proposta del Ministro Boccia e del Sindaco Decaro riguardo alla “chiamata” (non saprei quale altro termine usare, anche se il più indicato forse potrebbe essere “reclutamento”) di 60mila “Assistenti Civici” che avranno il compito di aiutare e vigilare durante la Fase 2, coordinati dal sistema di Protezione Civile.

La proposta, come è noto, ha suscitato non poche polemiche e molti dubbi; personalmente, sono tra coloro che hanno dimostrato scetticismo al riguardo.
Da volontario del Servizio Civile Nazionale e della Protezione Civile, valuto più che positivamente l’impegno attivo e spontaneo dei cittadini in attività di affiancamento alle istituzioni (laddove possibile).

Da un lato c’è il punto di vista pratico e immediato: sull’impegno dei volontari infatti si reggono in molti settori numerosissimi servizi: basti pensare alla Sanità e alla Cultura; dall’altro c’è il punto di vista ideologico, a mio parere ancor più importante: la partecipazione e la collaborazione dei cittadini ad attività che vanno a beneficio dell’intera comunità contribuisce moltissimo alla formazione del senso civico e di appartenenza.

In questo complesso periodo, come già accaduto negli ultimi anni in molte situazioni di difficoltà per il nostro paese, il volontariato ha espresso tutto il proprio valore al massimo delle sue capacità all’interno del Sistema di Protezione Civile. Un sistema che è composto per lo più da una miriade di Associazioni e Gruppi Comunali che – ad esclusione dei periodi di “picco” nelle fasi emergenziali – fanno sempre più fatica a trovare volontari e persone disposte a impegnarsi per portare avanti le numerosissime attività che svolgono e di cui si occupano.

Detto ciò, avrebbe molto più senso cercare una sintesi tra le due proposte, una in fieri e l’altra già esistente (“assistenti civici” e “reddito di cittadinanza”) allargando quanto più il numero di volontari selezionabili con i bandi del Servizio Civile, di modo tale da consentire a quante più persone di vivere un’esperienza fondamentale nella formazione personale, di cittadini e professionale, facendo conoscere a pieno le realtà dell’associazionismo e dell’impegno civico.

Qualcuno, a cicli regolari, chiede il ripristino del servizio di leva: lo trovo sconcertante. Sostengono che possa servire ai giovani a formarsi, a imparare a rispettare le regole etc.

In una Democrazia sana le persone non devono imparare a smontare e rimontare un’arma, a marciare al passo dell’oca o a scattare sull’attenti; per di più, il rispetto delle regole e dei doveri minimi quotidiani (rifarsi il letto, lavarsi i denti etc) e – non ultimo – l’amore per il proprio paese, sono cose che vanno apprese a casa, in famiglia, e sui banchi di scuola.

Appartengo a quella generazione (1991) che il servizio di leva se lo è evitato (e più che volentieri) e che è stata cresciuta da chi il militare lo ha fatto per coscrizione e non per libera scelta, ciò non mi ha impedito e non mi impedirà comunque di impegnarmi per la mia comunità e di rispettare le regole.

L’associazionismo libero è un indicatore fondamentale dello stato di salute di una democrazia e una democrazia sana sostiene l’associazionismo e sostiene e incoraggia i cittadini – soprattutto i giovani – a essere partecipi all’impegno per la comunità, nei momenti di gioia come in quelli di difficoltà.

Per questo motivo sarebbe opportuno destinare fondi alle associazioni e far sì che i Centri per l’Impiego e i Comuni facciano da tramite tra queste meravigliose realtà e i giovani, gli studenti, i disoccupati, i pensionati, i migranti e i richiedenti asilo che vorranno partecipare attivamente alla ripartenza del nostro paese da questa così detta Fase 2 in avanti.

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