Scuole e distanziamento sociale, sicuri che sia la strada giusta?
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Il tema della ripresa delle scuole a settembre è certamente uno dei più stringenti in questi giorni; impegna, coinvolge e preoccupa direttamente o indirettamente tutti, e numerosi sono gli sforzi per elaborare soluzioni percorribili. Premesso che faccio l’architetto e che quindi sarei certamente più adatto ad affrontare problemi di tipo logistico piuttosto che tematiche sociali o sanitarie, sento comunque l’esigenza, da padre di una bambina che farà la quinta elementare, di condividere alcune riflessioni, forse banali se non ingenue.

Ma siamo davvero convinti che il distanziamento, ormai dato per scontato, sia l’approccio giusto per affrontare il problema della riapertura delle scuole, in particolare in riferimento alle scuole primarie e dell’infanzia? Credo invece sia una evidente contraddizione, rafforzata dal fatto che i bambini (per fortuna!) non sono realmente in pericolo: il luogo per eccellenza dove il bambino apprende la socialità al di fuori del nucleo familiare sarà organizzato sulla base del concetto di distanza sociale (!).

Una società veramente moderna dovrebbe avere il coraggio di ricorrere agli strumenti della scienza, affrontando il problema per quello che è veramente: un problema di prevenzione sanitaria. Non pare impossibile; d’altra parte, la riapertura del campionato di calcio si farà adottando misure che niente hanno a che vedere con mascherine e schermi di plexiglass, ritenute ovviamente impraticabili. E nella scuola? Sono praticabili? Onestamente direi di no.

Non reggono nemmeno considerazioni di tipo economico; il previsto distanziamento si presenta immediatamente come costosissimo: necessità di reperire personale aggiuntivo, spazi da adeguare, materiali da acquistare. Oltretutto, sarebbero investimenti principalmente legati alla contingenza del momento, che poco o niente hanno a che fare con una programmazione del futuro e, soprattutto, destinati in gran parte al settore privato.

Ma se tutte queste risorse si investissero invece sulla sanità e la ricerca, per trovare una vera soluzione che escluda il distanziamento (roba da antica Grecia, argomentava Vittorio Emanuele Parsi esponendo la sua idea di un nuovo Rinascimento), che sia veramente il risultato di una società del XXI secolo?

Invece di spendere fiumi di denaro in mascherine, schermi protettivi, detergenti (oltretutto fortemente inquinanti), non si potrebbe investire in tamponi, test sierologici, laboratori di ricerca (mi viene in mente il fantastico staff, tutto al femminile, che per primo è stato capace di isolare il virus in un luogo che richiamava forse la Germania est degli anni ’70, non certo Star Trek)?

Non possiamo immaginare una vera commissione interdisciplinare di esperti che analizzi seriamente il problema, partendo dalle reali situazioni logistiche delle strutture e risorse umane esistenti (spesso già inadeguate rispetto ad un utilizzo ‘normale’), spostando il discorso del distanziamento dal singolo studente alle classi, pensando a nuove modalità didattiche in presenza, utilizzando le tecnologie di geolocalizzazione e i famigerati big data per fare vera prevenzione?

Fortunatamente, immaginare non costa niente.


Fabrizio Milesi, architetto specializzato in urbanistica e pianificazione territoriale, componente della segreteria dell’Unione Comunale PD di Vaglia, piccolo Comune in provincia di Firenze

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