Maturità, per la scuola sia davvero un nuovo inizio
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Ieri, finalmente, dopo la fase acuta dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, gli studenti dell’ultimo anno del secondo ciclo sono tornati a scuola, almeno per il fatidico rito di passaggio della maturità. I docenti, anch’essi in presenza, in carne ed ossa, pronti a raccogliere i loro vissuti, le ansie, i sogni per il futuro.

Non nascondono un certo “batticuore”, ma non per paura, come solo chi parla di scuola senza mai esserci entrato, può raccontare. No, il tuffo al cuore l’hanno avvertito perché sono entrati dopo mesi nella loro casa, nel luogo dove ogni alunno è il “loro”ragazzo. Hanno colto l’enorme lavoro dei dirigenti con l’aiuto dei collaboratori di staff, dei dsga, dei tecnici, che in queste settimane non hanno riposato sui divani di casa, proprio per consentire il rientro.

Anche se con tutti gli accorgimenti necessari, anche se con un ragazzo per volta, senza abbracci, con il metro a dividerli, questa maturità in presenza sta consentendo di recuperare il carattere autentico della relazione educativa, il fattore umano che nessun tablet potrà mai ricreare.

Insieme, docenti e studenti, hanno percepito l’anima di una comunità che esiste e che resiste. E che ha bisogno di poche indicazioni, certe e chiare, ma di molte risorse, per poter far volare tutta la creatività che, in autonomia e flessibilità, restituirà ai ragazzi quegli ambienti di apprendimento di cui hanno bisogno. E quei diritti di cittadinanza che la Costituzione garantisce loro. Lo dobbiamo alla scuola, alla più grande infrastruttura sociale del Paese. Senza retorica e con la serietà che merita.

Con uno sguardo a domani, cioè a settembre, per non perdere neanche un minuto a reperire con gli enti locali spazi aggiuntivi, già esistenti, e/o costruire lì dove è possibile strutture leggere, come si è fatto in poche settimane per gli ospedali, potenziando altresì gli organici, per diminuire la numerosità dei gruppi e consentire il necessario distanziamento fisico.

Ma, contemporaneamente, con lo sguardo lungo, visionario.

La nostra ossessione deve essere quella di far risalire il Paese da quel drammatico ultimo posto fra i 37 paesi dell’Ocse, in cui è fermo perché meno del 7% della spesa pubblica è stato destinato all’istruzione. La sfida è esattamente questa: una parte importante, significativa delle risorse enormi che saranno messe a disposizione in bilancio, dovranno essere destinate all’istruzione pubblica, se si vuole restituire alle future generazioni ciò che finora gli abbiamo tolto.

Ora si può. E si deve.

Il tempo, che è parso infinito, della chiusura ha avuto il merito di riaprire un fecondo dibattito sul modello educativo nel nostro Paese. Noi, cioè, sappiamo quale scuola abbiamo chiuso, ma dobbiamo decidere oggi, subito, quale scuola vogliamo riaprire. Di certo non vogliamo una scuola con una didattica che sia mera trasmissione di saperi, o che abbia come unico fine quello di selezionare i migliori, lasciando indietro chi, per condizioni personali o sociali non ce la fa.

Vogliamo invece la scuola come luogo inclusivo di elaborazione del
pensiero, che combatte le diseguaglianze, che sia presidio di cultura democratica e di legalità.

Una scuola che si riappropri finalmente dell’autonomia scolastica, rimasta in parte ancora inattuata, per diventare un’autentica comunità educante, in strettissima connessione con i territori. Che, come in una bottega artigiana, realizzi la piena cittadinanza per ciascuno. Perché la scuola è di tutti, come ci indica la Costituzione, solo se riesce ad essere la scuola di ciascuno.


Camilla Sgambato è responsabile Scuola nella segreteria nazionale del Partito Democratico

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