Serve un nuovo sistema di istruzione, che sia parte della ricostruzione del Paese
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“Tutto ciò che non si rigenera degenera” E.Morin

L’emergenza coronavirus e l’isolamento sociale che ne è conseguito hanno investito come uno tsunami la scuola italiana che, in poche ore, ha dovuto trasferire la didattica sulle piattaforme online.

Tutto ciò ha portato alla luce e reso più chiare ed evidenti da un lato le disuguaglianze sociali, poiché non tutta la popolazione studentesca ha avuto possibilità, mezzi e connessioni per accedere alle nuove modalità di lezione, dall’altro aspetti di natura tecnico-operativa dovuti al livello non eccellente di alfabetizzazione informatica di operatori, studenti e famiglie, all’età avanzata del personale, alla obsolescenza di molti strumenti e dispositivi.

Ma, cosa ancora più importante, tale emergenza ha mostrato le criticità che riguardano e coinvolgono l’assetto complessivo del sistema istruzione-formazione e che richiedono una riflessione di carattere politico e non esclusivamente tecnico. Dopo anni in cui la scuola pubblica è stata delegittimata dalla mancanza di investimenti, anni in cui la professionalità docente è stata vilipesa e privata di autorevolezza, risulta indispensabile, ora, accendere i riflettori della politica sul comparto istruzione.

Edilizia scolastica, riforma dei cicli, riduzione significativa di alunni per classe, formazione docenti, riforma degli organi collegiali sono solo alcuni degli interventi indispensabili, ma non basta. È arrivato il momento di pensare la scuola in una prospettiva di sistema in cui l’edilizia, ad esempio, si configuri come un progetto di architettura degli ambienti funzionale agli obiettivi da raggiungere, al tipo di attività che, in quegli ambienti, si andrà a svolgere.

Sulla scia dell’emergenza ci si concentra soltanto sulla necessità, sacrosanta, di riaprire le scuole il prima possibile, ma non ci si chiede abbastanza QUALE scuola, dando per scontata la correttezza sostanziale del modo in cui il sistema di istruzione e formazione è stato confezionato negli ultimi decenni, definendosi nel tempo attraverso una serie di ‘riforme’ che via via hanno demolito il sistema stesso.
Abbiamo potuto registrare la mancanza di una prospettiva di largo respiro che è stata ed è segno di una profonda crisi di orientamenti ideali che si è tradotta in dogmatismi di natura tecnicistica.

Così, per esempio, la retorica dei ‘portatori di interesse’ ha finito per rivelarsi nella sua vera natura; ossia quella di una progressiva pedagogia della burocratizzazione di quegli stessi interessi che si volevano tutelare. La scuola che auspichiamo deve tornare a essere a un tempo risultato del processo di interazione con il ‘reale’, con il ‘sociale’, ma anche luogo in cui si costruiscono ipotesi di mutamento; luogo di cultura intesa come possibilità di trasformazione di quello stesso mondo.

Se la scuola non cessa di essere uno spazio isolato che si limita a simulare un rapporto con il mondo attraverso la mediazione dei saperi disciplinari pensati come canoni a- temporali, non sarà mai scuola Costituente e presidio di democrazia. La stima della misura della validità del sistema scolastico deve essere, quindi, determinata preventivamente in rapporto alle scelte politiche e strutturali del Paese e in relazione alla individuazione dei suoi bisogni presenti e futuri.

Porre il problema in questi termini significa determinare non soltanto come operare ma anche e, forse, soprattutto stabilire nell’interesse di chi e per quale realtà ri-articolare il sistema. Il sistema istruzione non può, di conseguenza, basarsi unicamente su indicatori interni ai fini della valutazione della sua efficacia ed efficienza. D’altra parte, riteniamo che il semplice travaso acritico di modelli, forme organizzative di un ‘mondo del di fuori’ all’interno della scuola non possa funzionare (come, nei fatti, non ha funzionato).

Risulta pertanto evidente che il nostro impegno per una riqualificazione della scuola nel solco tracciato dalla Carta, debba consistere nel proporre una Forma-Scuola capace di garantire, mostrare, far vedere anche le alternative possibili che la realtà, in certi momenti della storia, tende a occultare. La formazione di una coscienza civile richiede, allora, non il restringimento (come è stato fatto) ma l’ampliamento del tempo scuola.

Il punto che deve indirizzare il nostro agire, il nostro agire politico è questo: se e come realizzare la fusione in un unico processo del momento della ri-cognizione del mondo-ambiente con quello della educazione. Fusione, non giustapposizione episodica.

Non possiamo e non dobbiamo più correre il rischio di far percepire il mondo che si apre all’indagine e da cui la scuola trae alimento come un coacervo, un repertorio eternamente cangiante di esperienze disarticolate, sempre e comunque valide o giustificabili.

L’istruzione e la formazione devono essere, vogliamo ribadirlo, il prodotto di una visione sistemica in modo da pensare la scuola in relazione con la società, una scuola che ne colga e ne rispecchi la complessità, ma non venga pensata “in subordine”, come oggetto da dominare per il tramite di tecnicismi o “ricatti” amministrativo-contabili.

Per fare questo è necessaria una ridefinizione dei ruoli di tutti i soggetti in campo, una ridefinizione della formazione dei dirigenti, dei docenti, della professionalità docente e degli organi collegiali che rispecchino le nuove dinamiche relazionali. Il sistema scuola, a nostro avviso, dovrebbe spingere tutti a recuperare il desiderio di essere cittadini e non unicamente “portatori di interessi”.

La “Scuola” che auspichiamo deve essere parte attiva della soluzione dei problemi complessivi che si sono aperti, deve essere chiamata a partecipare alla ricostruzione del Paese, deve essere il mezzo attraverso il quale rifondare un’etica di cittadinanza, di partecipazione, di democrazia.

Piazza Grande – Bari

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1 COMMENTO

  1. Ogni regione sta affrontando il progetto scuola in modo diverso.. in Lombardia in questi mesi il denaro della regione viene dato per l’edilizia scolastica..cosa che non viene fatta nelle Marche che sempre di più sta scivolando verso il.Sud e i problemi del sud..i soldi che la ragione ha improntato sono stati dati alla scuola paritaria…una scuola che comunque dovrebbe venire dopo di quella pubblica..nella pubblica non abbiamo personale chi lavora nelle mense senza lavoro..sarebbe stato opportuno dare finanziamenti per organizzare le mense scolastiche ..perché se non si può dare un servizio pieno con tanto di mense ..bisogna pensare ad affrontare la spesa pubblica di baby sitter e aiuti alle famiglie e al personale delle mense che non lavoreranno..però se in questo frangente invece di dare il denaro alla paritaria si potesse finanziare l’edilizia pubblica e la messa in regola di mense..non sarebbe cosa buona e giusta?

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