Il Mes va accettato, sarebbe irresponsabile fare il contrario
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Le lancette corrono e il momento di prendere decisioni è sempre più vicino. È anche questa la politica: essere pragmatici. Benché l’era dei social abbia messo questo aspetto sostanziale in un angolino privilegiandone l’apparenza. Il MES va accettato o rifiutato, ma entrambe le decisioni vanno argomentate e suffragate da dati oggettivi, non dall’eco degli slogan di un vecchio dibattito sul vecchio salva stati, strumento ormai superato.

Mettiamoci alle spalle quindi preconcetti politici e affrontiamo il dibattito basandoci sui fatti concreti, ponendoci quattro semplici domande:

Ci serve il MES? A fronte di un calo del pil previsto di -12 punti percentuali (durante la crisi del 2011 si attestava “solo” al -2,5%) l’Italia si indebita per il 160% cambiando giustamente il paradigma economico finanziario a cui ci siamo attenute nell’ultimo decennio. Stiamo utilizzando tutte le risorse a disposizione per far ripartire la macchina economica italiana e garantire cassa integrazione e misure di protezione sociale per i prossimi mesi, così come mettere in campo azioni concrete per lavoro ed impresa. 36 miliardi extra per il nostro sistema sanitario ci offrono una opportunità unica per rafforzare il Sistema sanitario nazionale e regionale liberando ulteriori risorse per accompagnare gli italiani nei difficili mesi che ci attendono.

Ci sono condizioni? No. Come è stato ridisegnato, non prevede le “condizionalità” temute da alcuni. La sola condizionalità dei prestiti, riguarda il fatto che i fondi vadano usati per la spesa sanitaria, diretta e indiretta legata alla crisi Covid_19. Quindi niente interferenze nella sfera delle nostre decisioni nazionali.

Ci sono differenze tra tassi d’interesse tra stati membri? Neppure.

Esiste un rischio di una ondata epidemica in autunno? Non è certo, ma probabile. Ed è nostro dovere utilizzare subito tutti gli strumenti normativi e finanziari per approntare in brevissimo tempo una poderosa ristrutturazione del nostro sistema di prevenzione e cura per essere pronti ad ogni evenienza, con l’obbiettivo di evitare un nuovo lockdown e al contempo costruire un sistema di allerta e presa in carico che ci metta al sicuro da nuove possibili pandemie nel prossimo futuro.

Dobbiamo prepararci al peggio e sperare nel meglio, ma è irresponsabile non comprendere che dobbiamo mettere in campo misure strutturali per salute e ricerca che richiedono molte risorse, ma questo sarà il miglior investimento per il nostro futuro insieme agli investimenti in educazione.

La sanità e il suo complesso sistema è il destinatario di questi 36 miliardi senza condizioni. Il PD ha messo in campo una serie di idee per realizzare un grande progetto nazionale che ci permetta di ridisegnare il nostro Ssn per metterlo in sicurezza dal Covid e al contempo affrontare i grandi nodi irrisolti del sistema, dalle diseguaglianze tra cittadini nell’accesso a terapie e ad assistenza, così come il tema del fabbisogno del personale, la deprivazione del sud, l’infrastruttura ospedaliera, l’infrastruttura della ricerca, il grande tema della cronicità e dell’assistenza domiciliare, la telemedicina e le nuove tecnologie digitali per arrivare ad una oramai ineludibile riforma della socio assistenza, della medicina del territorio e della prevenzione. Abbiamo bisogno di ridisegnare le azioni per affrontare queste sfide in tempi brevi immaginando non sole risorse, ma anche nuovi modelli di governance e controllo.

Il Covid ha mostrato come servano ospedali con layout moderni, modulabili, “intelligenti” dotati di terapie intensive all’altezza e con una conseguente e costante manutenzione, così come le fragilità della burocrazia e del management, soffocati da procedure e schemi che nulla hanno a che vedere con i tempi di un virus e i modelli della medicina moderna. Il rafforzamento dei servizi di medicina territoriale è richiesto da tutti, per farlo però ci vogliono risorse e investimenti su persone e mezzi, non un intervento una tantum ma riforme strutturali, come mettere in sicurezza le nostre RSA, potenziare l’assistenza domiciliare a virus circolante, ripensare in generale l’approccio verso gli anziani, con un ingaggio forte di tutte le realtà professionali dai MM.GG., agli infermieri, farmacie di servizio e personale sanitario in modo da integrare tutto il sistema per decongestionare gli ospedali e finalmente strutturare quella medicina del territorio che è la garanzia per la sostenibilità del Ssn in tempi in cui la demografia ci richiama all’enorme richiesta di assistenza per una popolazione sempre più vecchia.

La parola d’ordine rimane Covid, e per combattere il virus, intercettarlo precocemente e isolarlo là dove si formano piccoli focolai serve una poderosa macchina della prevenzione. Rinforzare in modo strutturale i dipartimenti di prevenzione, riformare in chiave moderna e con i nuovi strumenti a dare la caccia ai virus e combatterli, ci servirà oggi per il Covid, domani per garantire immunità di gregge a fronte dei tanti virus che continuano a circolare, difenderci dalle infezioni e dalla resistenza agli antibiotici e lavorare sui fronti della prevenzione primaria e secondaria che di per se costruiscono la salute di una popolazione. Fare prevenzione significa investire sulla salute dei bambini, ritornare perché no al medico scolastico, e aiutare il consolidarsi di una cultura dell’igiene pubblica e del valore del metodo scientifico che ha perso posizioni nella popolazione negli ultimi decenni.

Non da ultimo la ricerca nelle scienze della vita che da sola ripaga tutto il finanziamento. Ricordiamo che la ricerca in innovazione e sviluppo ha una resa in questo campo secondo recenti studi di 1 a 146. Ogni dollaro investito ritorna fino a 146 volte del suo valore. In Italia non c’è mai stato un investimento poderoso nella ricerca biomedica. Farlo adesso ci permetterebbe di garantire accesso ai nostri pazienti in modo universale e gratuito, ottenere risultati al top della ricerca scientifica mondiale per curare malattie dove la terapia fa la differenza e al contempo diventare l’hub più attrattivo per ricercatori ed investimenti in Europa. Quindi risorse ed idee per mettere in campo un volano occupazionale di eccellenza per il futuro, senza differenze tra nord e sud, tra centro e periferia.

Le ragioni per richiedere il Mes ci sono tutte, in questi giorni sarà importante che il dibattito resti sui dati oggettivi, solo così si potrà prendere una decisione in scienza e coscienza.


Beatrice Lorenzin è una deputata del Partito Democratico ed è stata ministra della Salute dal 2013 al 2018.

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1 COMMENTO

  1. La scelta dell’utilizzo del MES andrebbe ponderata con molta attenzione e parlando un linguaggio di verità.
    1) Ci serve il MES? Diciamo che ci servono risorse per la sanità ed il MES può essere uno degli strumenti da utilizzare. Però, per la particolarità del MES, non credo sia lo strumento più adatto per le riforme strutturali indicate nell’articolo.
    2) Ci sono Condizioni? Con l’accordo raggiunto sono state tolte le condizioni d’accesso ma non è stato modificato il trattato e quindi, una volta entrati, restano tutte le condizioni istitutive: verifica solvibilità e programmi macroeconomici di aggiustamento.
    Quindi lo possiamo utilizzare però dobbiamo dire la verità sui rischi che si possono correre avviandoci ad un rapporto debito/PIL vicino al 160%.
    La vera azione irresponsabile sarebbe quella di utilizzare uno strumento che comunque comporta dei rischi basandosi su una valutazione superficiale sui costi, sui benefici e sulle destinazioni effettivamente possibili dei fondi richiesti.

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