La decisione del ministro della giustizia polacco Zbigneiew Ziobro di uscire dalla Convenzione di Istanbul segna un’inversione di rotta estremamente preoccupante nel cammino contro la lotta alla violenza verso le donne iniziato proprio a partire dall’adozione da parte del Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 di quel documento internazionale e costituente. Chi è avvezzo a muoversi nell’ambito delle fonti del diritto sa benissimo che la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne ha una forza costituente, nel senso di poter condizionare e permeare ogni norma su questa materia . Negare la sua validità in un Paese significa mettere in cantina gli strumenti fondamentali che la stessa offre in maniera chiara e precisa per contrastare ed eliminare il grave dramma della violenza. Non un fenomeno passeggero, non una pagina nera di un libro diverso, non una parentesi orribile di una cultura dei diritti, ma semmai l’espressione e il sintomo di una malattia che trasversalmente tocca tutte le società e le fasce sociali: si tratta di una sottocultura per cui il più prepotente, spesso l’uomo, deve comandare e assoggettare e annientare la donna.
In Polonia si tratta di uno dei molteplici provvedimenti che negano i diritti delle donne e che, come sostengono molte attiviste scese nelle piazze di Varsavia, mettono in evidenza un chiaro obiettivo del governo: “legalizzare la violenza domestica”. Ci sono voluti tanti anni per arrivare a concettualizzare la violenza, imparare a riconoscerla dentro le relazioni affettive dove il limite del lecito era completamente lasciato alla discrezionalità dell’uomo padre-padrone, libero di scegliere il destino della moglie e dei figli, ma esimendosi dall’esercizio di ogni azione di cura quotidiana. In un attimo quella lavagna di diritti viene cancellata per lasciare spazio al nero dell’ardesia, cupo, intenso e desolante.
Assistiamo in questi mesi di alti e bassi e di contraddizioni immense e spesso incomprensibili che una società lasciata andare ai suoi istinti spesso beceri ha generato, ad uno scenario europeo in cui tre donne salvano il destino dell’intera umanità e alcuni uomini invece calpestano senza remora alcuna i diritti fondamentali delle donne. Perché è finalmente chiaro con la Convenzione di Istanbul e viene detto senza esitazioni che i diritti delle donne sono diritti dell’essere umano che appartengono a chi nasce per il solo fatto di essere venuti al mondo e non sono frutto di concessioni o negazioni del prepotente di turno.
La Convenzione ci dice che la violenza contro le donne deve essere un tema nei confronti del quale i governi devono assumere il dovere di mettere in campo tutte le misure di prevenzione, punizione e protezione che servono per salvaguardare la vita delle donne, da troppi secoli private di ciò che appartiene loro in quanto esseri umani. Ecco perché è inaccettabile che si possa decidere di uscire dalle prescrizioni stringenti della Convenzione stessa: se ciò è accaduto è fondamentale che le Istituzioni europeee che possono farlo prendano provvedimenti seri contro gli stati che ne negano l’efficacia. Essere sotto il cappello di Istanbul deve diventare la precondizione per appartenere all’Unione Europea. Serve una presa di posizione immediata rispetto a questa ignobile decisione del governo polacco. Del resto lo spirito dell’Europa, terra e patria dei diritti umani dove la civiltà è nata e si è sviluppata, dove si sono espresse le più raffinate menti nel mondo delle arti e dei mestieri, culla delle bellezze architettoniche e pittoriche, non è quello in cui l’umanità deve essere rispettata nella sua interezza?
Certo: le argomentazioni addotte in merito alla scelta del polacco Ziobro hanno molto a che fare con lo scontro acceso che si sta svolgendo in queste ultime settimane sulla negazione della differenza tra due termini, sesso e genere, che si traduce in una serie pratica di negazioni di diritti delle donne che proprio quella logica vuole eliminare. Del resto quando si apre una faglia senza prima incardinare una discussione seria, approfondita, con esperti in merito ad una materia e si sceglie in maniera grossolana di risolvere tutto dentro le commissioni parlamentari senza ascoltare il sentimento e il dibattito che anima il paese, le conseguenze possono essere davvero nefaste e dare così il destro a quel tipo di decisioni.
Allora siamo ancora in tempo per poter fermarci e approfittare del caldo torrenziale di questi giorni non per infilare sornioni dei provvedimenti che negano i diritti delle donne, ma per poter aprire un serio dibattito che avvicini la politica alle persone, che coinvolga l’accademia e l’intellettualità del Paese e che porti ad una decisione capace davvero di proteggere da quel delitto orribile dell’omotrasfobia che da tempo auspichiamo entri nei tomi dei nostri codici penali, senza con ciò predisporre una miscela esplosiva che metta a repentaglio ancora una volta i già precari diritti delle donne. Vogliamo più Istanbul, non meno in Italia e nella nostra Europa; vogliamo più diritti delle donne e non meno diritti delle donne in Italia e in Europa;vogliamo poter essere libere di scegliere e di determinare la nostra vita.
Il tempo è arrivato per questo.
L’Avvocato Andrea R. Catizone è direttrice del dipartimento Pari opportunità delle Autonomie locali italiane