Ricordando Federico Orlando, a sei anni dalla sua scomparsa
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Uno dei più grandi giornalisti italiani, un maestro per tanti di noi, Federico Orlando, ci lasciava giusto 6 anni fa.

Orlando era il condirettore di Europa, un piccolo quotidiano ricco di idee, espresse con uno stile particolare e un grande spirito critico, sotto la direzione prima di Nino Rizzo Nervo e poi, a lungo, di Stefano Menichini. Nato come quotidiano della Margherita, Europa anticipò le ragioni della fondazione del Partito democratico, di cui poi divenne, diciamo così, il foglio inquieto: e di questa ansia critica Orlando era il gran dispensatore, il seminatore di dubbi e domande, recando sempre al giornale un lievito di passione che ogni mattina, alle riunioni, ci regalava.

Era stato d’altra parte il braccio destro di Indro Montanelli al Giornale prima che Berlusconi vi allungasse le mani sopra: e i due grandi giornalisti sbatterono la porta e andarono a fondare La Voce, piccolo e battagliero quotidiano che anche nel nome guardava a un certo liberalismo un po’ fuori tempo, certo molto lontano dalla politica di plastica impersonata dal Cavaliere ma nemmeno rassicurata dalla sinistra post-comunista.

Poi a sinistra l’Ulivo cambiò tante cose e Orlando vi aderì diventandone eminente deputato (forte la sua battaglia contro lo strapotere della Fininvest e sul conflitto d’interessi), e dunque quando nacque Europa egli vi trovò una naturale casa.

Fu un grande giornalista, curioso lettore del pezzo dell’ultimo praticante, modesto come pochi, coltissimo e moderno; un illuminista classico, un liberal-riformista di oggi; forse l’ultimo meridionalista nel senso di Giustino Fortunato e Guido Dorso; anticlericale “carducciano” ma sempre affascinato dalla discussione anche dottrinaria nel mondo cattolico: Orlando era davvero nel solco della grande cultura democratica del Paese.

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