Ricordare Jerry Masslo, perché la lotta al razzismo si nutre di memoria
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25 agosto 1989, Jerry Essan Masslo viene ucciso in un tentativo di rapina dei pochi soldi guadagnati lavorando per ore nei campi del casertano. L’italia “scopre” di essere diversa da come si immaginava. Incredula e impreparata ad affrontare un cambiamento già allora in corso. Da Paese di emigranti a meta di emigrazione per centinaia di migliaia di uomini e donne. Esseri umani spinti dalla necessità di costruirsi una vita migliore lontani dalle loro case, proprio come avvenne per i nostri emigranti, quei milioni i nostri connazionali che lasciarono l’Italia approdando in ogni continente, contribuendo cosi con il loro sacrificio alla ricchezza delle nazioni dove si recavano e al benessere delle loro famiglie e delle comunità originarie attraverso le rimesse.

Un cambiamento epocale – non metabolizzato – fu dunque rivelato da quel tragico episodio. Fu anche improvvisamente chiaro che il germe dell’odio e del razzismo erano ben presenti anche in Italia, contrariamente a una certa narrazione che ci rappresentava sempre accoglienti e ben disposti verso lo straniero. La realtà era invece diversa, come emerse negli anni a seguire con sempre maggiore evidenza.
Allora, in seguito a quell’assassinio avvenne una grande mobilitazione da parte delle forze politiche e sociali, con grande eco in scuole e università. Centinaia di migliaia di giovani scesero nelle piazze, molti di quelli in seguito si impegnarono nell’associazionismo antirazzista e per la difesa dei diritti dei migranti. Fra quei ragazzi – scossi dalla morte di Masslo – c’ero anche io.

Si avvertì da subito il bisogno di una battaglia culturale contro il razzismo strisciante e in favore di leggi che tutelassero i diritti di queste persone, fino ad allora ignorate dal legislatore. Una esperienza politica e culturale che segnò una generazione in modo profondo. Maturò presto la consapevolezza che fossimo davanti a un processo storico irreversibile e che l’italia fosse impreparata ad affrontarlo.

A distanza di 31 anni, ci troviamo ancora davanti a una discussione pubblica – fomentata dalle destre – antistorica e ideologica, che vorrebbe bloccare il processo di globalizzazione di cui l’immigrazione è uno degli effetti. Una posizione velleitaria e pericolosa, spesso perorata con linguaggi aggressivi e discriminatori, da continui richiami allo scontro fra civiltà o addirittura allo spettro della “sostituzione etnica”. Parole d’ordine che trovano grande spazio nel nazionalismo moderno e nei partiti politici che se ne fanno paladini nel nostro Paese e in Europa. Una visione che diviene l’ideale “brodo di coltura” dei germi del razzismo.

Ricordare oggi la morte di Jerry Masslo non è quindi una celebrazione vuota, ma significa ribadire come la lotta al razzismo e ad ogni forma di discriminazione sia prima di tutto culturale e si nutre di memoria, studio e impegno civile a fianco di quanti ancora oggi sono sfruttati nei campi in uno stato assai simile alla schiavitù. Bisogna affermare con nettezza che la battaglia per la legalità – contro le mafie che si arricchiscono sulla pelle di questi lavoratori e per il riconoscimento dei loro diritti – è una grande questione democratica che riguarda l’intero Paese e la libertà di ciascuno di noi.

Marco Pacciotti è responsabile del Dipartimento Immigrazione del Partito democratico

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