Ora serve il reato di molestie sui luoghi di lavoro
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La vicenda della rielezione di Giulio Ferrara, condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi per violenza sessuale su una dipendente e, nonostante questo, riconfermato presidente del Cotrab, Consorzio Aziende Trasporti Basilicata, ha giustamente indignato il mondo femminile e femminista. L’uomo si è dimesso dalla carica in seguito alla pressione della “violenta campagna di stampa” (così l’ha definita nella lettera di rinuncia) scatenata dalla petizione dell’associazione Dalla stessa parte, da una serie di interrogazioni parlamentari e dagli interventi delle ministre De Micheli e Bonetti.

Questa storia rimane paradigmatica per una serie di ragioni. Per prima cosa ha riportato alla luce il dramma delle molestie sessuali nei rapporti di lavoro e con esso la necessità di prevedere finalmente una disciplina penale dedicata, anche istituendo un reato hoc, obiettivo per cui come Pd e come maggioranza abbiamo da diversi mesi depositato uno specifico disegno di legge in Senato sottoscritto da moltissime colleghe e colleghi. Le molestie sessuali, ovvero atti sessuali commessi nell’ambito di un rapporto di lavoro senza il consenso della vittima, sono riconosciute da una Convenzione e da una Raccomandazione del 2019 della Conferenza internazionale del lavoro.

Nell’ordinamento italiano, tuttavia, le molestie sessuali sul luogo di lavoro assumono valenza penale solo qualora gli atti siano commessi “con abuso di autorità”, nozione che tuttavia è stata diversamente interpretata nella giurisprudenza. La conseguenza è che le condotte moleste non caratterizzate da violenza sessuale, minaccia o abuso di autorità sfuggono dalla sanzione penale utilizzabile e che per ora resta quella prevista dall’articolo 609-bis del codice penale. Proprio per colmare questa lacuna e per punire in maniera adeguata la peculiarità di questa fattispecie, determinata da rapporti spesso impari e dunque dalla possibilità di esercitare un vero e proprio ricatto nei confronti delle lavoratrici, il ddl in questione introduce nel codice penale il reato di molestie sessuali, proponendo come pena la reclusione da 2 a 4 anni e prevedendo inoltre l’aggravante dell’aumento della metà della pena se i fatti vengono commessi nell’ambito di un rapporto di educazione, istruzione o formazione ovvero di un rapporto di lavoro, di tirocinio o di apprendistato, di reclutamento o selezione o con abuso di autorità o di relazioni di ufficio connotate da un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo e quindi anche oltre il vero e proprio atto inteso esclusivamente come contatto fisico.

La seconda ragione per cui questa storia è particolarmente irritante riguarda il fatto che in essa emerge con chiarezza la natura culturale della violenza sulle donne. Giulio Ferrara non andava ricandidato, né rieletto, anche se la legge lo consentiva, per ragioni di inopportunità etica. Un dirigente che commette un abuso sessuale su una sua dipendente e che per questo viene denunciato, processato e condannato non può più assumere incarichi di responsabilità, stante tra l’altro la permanenza della lavoratrice vittima nello stesso ambiente di lavoro. Dobbiamo a questo punto chiarire che questa rielezione inaccettabile non sarebbe stata possibile con le nuove norme in vigore dal 2012.

Giulio Ferrara è stato condannato per fatti risalenti al 2009, quando presiedeva l’azienda Sita, aderente al Cotrab. Con la successiva ratifica della convenzione di Lanzarote, è ora prevista l’interdizione temporanea dei pubblici uffici e anche la sospensione dall’esercizio della professione a seguito della condanna per reati sessuali di questa gravità. Inoltre oggi Ferrara sconterebbe una pena detentiva anche con la condanna a due anni e mezzo di reclusione, perché grazie al Codice Rosso l’ordinamento penitenziario ora lo prevede.

Sul piano legislativo dunque sono stati fatti passi in avanti molto concreti e importanti, ciò che rimane indietro e che stride è la concezione, purtroppo tanto diffusa quanto inadeguata, ancora della mancata gravità di questi reati e di quanto siano deleteri e distruttivi per le donne. I rappresentanti delle aziende aderenti al Cotrab non avrebbero dovuto rieleggere questo signore, così come lui avrebbe dovuto capire di non potersi ricandidare, anche se la legge -quella precedente e in vigore allora- lo permetteva in via formale, perché i fatti erano davvero gravissimi e preclusivi per qualsiasi altro ruolo di direzione o responsabilità. Si conferma purtroppo che in questo Paese il vero tema da affrontare, dunque, è il cambiamento culturale necessario per abbattere definitivamente una visione patriarcale della società e riconoscere finalmente alle donne pari opportunità, diritti e dignità, in rapporti davvero paritetici e liberi.

Pensiamo alla solitudine di questa signora, a come avrà pensato che denunciare è inutile, se poi il presidente rimane al suo posto. Il vero passaggio da fare è allora questo, le sanzioni non bastano e spesso le leggi, per quanti perfettibili come in questo caso, ci sono.
Terza ragione, incoraggiante: le donne, unite, hanno vinto anche questa volta, riuscendo ad ottenere un risultato concreto e al contempo fortemente simbolico.

La battaglia culturale delle donne va avanti. Non lasciamoci scoraggiare e facciamo squadra tra noi e con gli uomini più “illuminati”. Il raggiungimento di una effettiva parità, in grado di garantire alle donne pari opportunità, autonomia diritti e libertà, è un cambiamento necessario non solo per le donne stesse, ma per tutti.

Per questo abbiamo bisogno di camminare insieme ancora una volta fianco a fianco, perché quando siamo insieme e marciamo unite e compatte verso un obiettivo comune rappresentiamo davvero una marea inarrestabile in grado di travolgere e abbattere resistenze e ostacoli di qualunque tipo.

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