Fermiamo l’attacco delle regioni di destra all’autonomia delle donne
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Dopo l’Umbria guidata dalla leghista Donatella Tesei, adesso anche in Piemonte la destra va all’attacco dell’aborto farmacologico, annunciando di voler ripristinare i tre giorni obbligatori di ricovero.

Questo nonostante le nuove linee di indirizzo del ministero alla Salute – che consentono l’aborto farmacologico anche in via ambulatoriale e tramite i consultori – il parere del Consiglio Superiore di Sanità e la presa di posizione della Società italiana di ginecologia e ostetricia. E a dispetto della stessa emergenza Covid, che con la necessità di limitare le ospedalizzazioni aveva suggerito di promuovere maggiormente la metodologia farmacologica.

Invece in Italia la RU486 è da sempre osteggiata. La minor invasività della metodologia e l’assenza di ricovero vengono raccontate come una banalizzazione dell’aborto, oppure una mancata presa in carico delle donne da parte del servizio sanitario. Come se le donne avessero bisogno dell’ospedale per capire quale scelta stanno compiendo, o del ricovero per essere davvero assistite.

Servirebbe maggiore fiducia; basta leggere i dati delle interruzioni di gravidanza, in continua diminuzione,  per capire quanto saggiamente le donne abbiano usato la legge. Del resto abbiamo tanto parlato di sanità territoriale, come si può pensare che ambulatori e consultori, che sono un luogo essenziale per la prevenzione, la promozione della salute riproduttiva femminile e il sostegno alle scelte delle donne nella procreazione, non le seguano poi nel loro percorso! E poi operatori e utenti valuteranno insieme come procedere. Nessuna sarà costretta.

Ma alla destra questo non va bene.

Nonostante le evidenze scientifiche e l’esperienza della stessa regione Piemonte – dove l’aborto farmacologico, sicuro e meno invasivo di quello chirurgico,  è usato nel 47% dei casi, mentre in Italia la media è del 22% – e di tanti paesi europei.

Una furia distruttrice dell’esperienza già in corso e di quello che avviene nella realtà, dove anche nelle regioni in cui il ricovero di tre giorni era obbligatorio, tre donne su quattro firmavano per le dimissioni volontarie.  La destra è mossa da una motivazione puramente ideologica, si tratta di una scelta che nulla c’entra con la promozione della salute delle donne e che al contrario dimostra assenza di rispetto per la loro coscienza. Un attacco all’autodeterminazione delle donne, che magari si nasconde dietro candidature femminili, come in Toscana,  ma che alla fine mostra sempre la sua vera natura: la messa in discussione della nostra autonomia e dei nostri diritti. Non lasciamo che altre regioni progressiste, come la stessa Toscana, ma anche le Marche o la Puglia, seguano questo corso. Il 20 e 21 votiamo ovunque per i candidati che sono dalla parte delle donne e delle persone.

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