Il lockdown sta alla collettività come la terapia intensiva sta al singolo
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Il lockdown e la terapia intensiva, alla fine, sono due facce della stessa medaglia e entrambi rappresentano un mancato funzionamento di tantissimi step precedenti.

Per capire il senso della terapia intensiva non pensiamo al virus, pensiamo a qualcosa di più semplice da capire come un incidente stradale: se una persona finisce in terapia intensiva in seguito a un incidente significa che ci sono tantissimi passaggi precedenti che non hanno funzionato. La sicurezza della strada, i sistemi attivi e passivi dell’auto, l’illuminazione, l’attenzione dei singoli guidatori ecc. Forse, correggendo anche solo un passaggio di questi citati, la persona non sarebbe finita in terapia intensiva.

Questo per fare capire che sono tantissimi i punti su cui agire prima di ricorrere alle cure intensive. E sono tutti punti che un sistema sanitario deve considerare, migliorare e ritenere come cruciali per la salute collettiva. Perché credo che chiunque – anche presumendo che poi vada tutto bene – vorrebbe evitare di essere intubato.

Sì ma perché tutto questo ragionamento?

Perché troppo spesso leggo e sento che la presenza di meno ricoveri in terapia intensiva e la minore mortalità sono indici di una patologia meno aggressiva e quindi della possibilità di abbassare la guardia.

Ecco, purtroppo non è così. I minori ricoveri in terapia intensiva sono dovuti a varie cause, tra cui quella di avere un servizio sanitario più preparato che identifica i positivi prima, li isola, li cura subito e fa in modo che non vengano a contatto con persone fragili. Anche qui mi rifaccio all’esempio dell’incidente stradale: da quando sono obbligatorie le cinture di sicurezza è diminuita la mortalità sulla strada. Ecco, questo dovrebbe farci pensare “ah ok, siccome si muore di meno possiamo togliere le cinture”? Direi proprio di no.

È proprio perché ci sono i sistemi di sicurezza che la mortalità è diminuita, così come è proprio perché stiamo più attenti che i ricoveri per covid sono di meno. Non al contrario, come tanti ragionano, che siccome tutto sta diminuendo allora in questo periodo stiamo eccedendo nella prevenzione.

E il lockdown?

Il lockdown per la collettività, come la terapia intensiva per il singolo, significa che diversi passaggi precedenti non hanno funzionato. Significa che non si è riusciti a controllare il contagio con le misure preventive, che si è abbassata la guardia, che le regole non sono state rispettate e che non c’è altro modo, se non quello di chiudere tutti in casa, per controllare il contagio. Un fallimento per tutti, cittadini e istituzioni.

Prima di prendere come parametro positivo la riduzione di pazienti in terapia intensiva, cerchiamo di capire il perché di questo dato. E capiamo che è proprio perché stiamo usando alcune accortezze che questo si verifica. Così come, prima di chiederci se ci sarà o no un secondo lockdown, capiamo quali sono i comportamenti da tenere tutti – come singoli e come istituzioni che hanno il compito di garantire la prevenzione sanitaria – per non arrivarci: rispettare le regole da un lato, arrivare pronti e con una seria pianificazione dall’altro.

È più elementare di quanto si creda, forse. Almeno in teoria. E se disgraziatamente ci ripiomberemo – nel lockdown e con le terapie intensive piene – non crediamo che sia solo per una ritrovata aggressività del virus, che dagli studi è più o meno la stessa anche ora.


Alessandro De Bernardis è un Consigliere comunale del Pd di Bergamo

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