Body shaming, la violenza più subdola che spopola sul web
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Per decenni la donna è stata etichettata con l’appellativo di sesso debole: meno forte, meno muscolosa, meno aggressiva rispetto alla controparte maschile, degna di accettare silenziosamente e rispettosamente quell’abito di moglie e madre che la sarta società le aveva sapientemente cucito addosso.

L’istinto di sopraffazione che caratterizza l’umanità da quando Plauto formulò la celebre frase “homo homini lupus” altro non poteva se non giustificare ogni forma di violenza a cui la donna è stata, è e mi auguro non sarà più sottoposta.

La violenza contro le donne può assumere sembianze atroci e sfumature talora fantasiose. Secondo i dati Istat, le vittime di omicidio volontario in Italia nell’anno 2018 contano 133 casi ma per leggere correttamente la gravità del dato bisogna sostituire casi con persone.

Tra le forme di violenza più subdole e sleali una paradossalmente arriva da vicino, non quella del marito geloso nei confronti della moglie, non quella del padre padrone verso la figlia appena adolescente ma quella che le donne, rappresentanti della stessa categoria discriminata e sottovalutata, scaraventano contro le donne. Una forma di violenza non violenta che risulta ancora più pericolosa proprio perché non lascia cicatrici visibili né lividi da poter sfoggiare.

Forse per vendetta o forse per gioco alcune donne, probabilmente vittime a loro volta di stigma e derisione, trovano corretto esprimere critiche e giudizi non richiesti sull’aspetto estetico delle altre donne, travestendo l’ipocrita violenza da libertà di pensiero ed espressione. Questo fenomeno risulta ancora più marcato quando il giudizio spietato viene palesato attraverso una tastiera e la dignità dell’aggressore è protetta da un infrangibile schermo di vetro. L’uso inconsapevole dei social media ha fatto da cassa di risonanza verso questa nuova forma di violenza contro le donne.

Talvolta, le critiche sull’aspetto fisico o su un dettaglio del proprio corpo possono agire da trigger nei confronti dei disturbi alimentari e generare profonde insicurezze nei soggetti predisposti, soprattutto se ci riferiamo al sesso femminile e all’età adolescenziale. Secondo la SISDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare), ogni anno in Italia 8.500 persone si ammalano di un disturbo alimentare. Su 100.000 donne 8-9 sviluppano anoressia nervosa e 12 bulimia nervosa. Se la diffusione di questi disturbi appare poco significativa nella popolazione generale, tassi molto alti si registrano, invece, in popolazioni specifiche.

Ne soffrono, ad esempio, 10 adolescenti su 100, di cui uno o due presentano forme più gravi che necessitano di ospedalizzazione. La fascia compresa tra i 15 e i 19 anni è tradizionalmente quella più a rischio, tuttavia negli ultimi anni l’età di insorgenza si sta progressivamente abbassando. Sono sempre più numerosi i casi di bambini e bambine che soffrono di anoressia nervosa o altri disturbi correlati già intorno agli 8-9 anni e parallelamente l’utilizzo dei social network e delle piattaforme digitali interessa fasce d’età sempre più giovani.

“Sei troppo grassa, dovresti metterti a dieta” non è un suggerimento. “Sei troppo magra, sembri anoressica” non è una forma di protezione. “Sei troppo muscolosa, sembri un uomo” non rientra nella libertà di opinione.
Il sesso femminile merita tutti i diritti di cui dispone l’essere umano ma nessuna donna la il diritto di giudicare un’altra donna. A volte, purtroppo, quella frase triste e bigotta è proprio vera: le peggiori nemiche delle donne sono le donne.

Valeria Galfano è nutrizionista e atleta bikini

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