Un tweet su due, degli oltre cinquecentomila analizzati e destinati al mondo femminile tra marzo e settembre del 2020, conteneva un insulto. È il dato che emerge dallo studio condotto da Vox – Osservatorio italiano dei diritti, che nelle note a margine fa notare come gli ‘sciami’ di epiteti si siano avuti quasi sempre in corrispondenza di fatti di cronaca che vedevano vittima una donna. Una circostanza che ha portato i sociologi che hanno condotto l’analisi a teorizzare un collegamento tra l’hate speech in rete e i cosiddetti hate crime, i crimini d’odio. A questi numeri si aggiungono quelli sul revenge porn, a un anno dal varo della legge sul cosiddetto ‘Codice rosso’. Secondo il rapporto stilato dalla Direzione centrale della Polizia criminale, ogni 24 ore vengono diffusi due video sessualmente espliciti di giovani donne.
Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ne abbiamo parlato con Laura Boldrini, ex presidente della Camera oggi deputata del Partito democratico, da tempo impegnata su questi temi, e lei stessa vittima in passato di gravi episodi di hate speech.
Presidente Boldrini, i numeri sull’hate speech ci parlano di un fenomeno diffusissimo e per questo pericoloso. Secondo la sua esperienza e la sua opinione, da cosa nasce?
Io penso che il sessismo e la misoginia siano una vera emergenza democratica, e tanto di più perché messa in atto da esponenti politici che non si fanno scrupoli a evocare stupri e ad esprimersi con riferimenti espliciti allo scopo di attaccare le avversarie politiche. È come se usare il sessismo e la misoginia fosse per qualcuno un lecito strumento politico. Questo non è accettabile, è una degenerazione del confronto politico. Se poi a usare la misoginia sono autorevoli figure di riferimento, che cosa devono fare i loro militanti e follower, e soprattutto che messaggio viene mandato ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze? Dunque la responsabilità di chi rende legittima l’umiliazione delle donne è enorme. È una forma di intimidazione che mira ad allontanare le donne dalla sfera pubblica. Tutti i partiti devono prenderne atto e correre ai ripari, perché a mio avviso non si è fatto ancora abbastanza per stigmatizzare queste degenerazioni e non consentire che diventino normale pratica politica.
Proprio alla vigilia del 25 novembre ha fatto scalpore l’editoriale di Vittorio Feltri sulla ragazza stuprata da Genovese che, come si dice, ‘se la sarebbe andata a cercare’. Esiste anche una responsabilità dei media?
La politica ha enormi responsabilità, perché questo modo di aggredire le donne è passato senza che vi fosse la necessaria indignazione, ma altrettanto grave è che vi siano dei media che fanno della misoginia una loro caratteristica. Chi riceve soldi pubblici, come Libero, non può permettersi di violare la dignità del 51% della popolazione italiana, cioè le donne. Se una testata giornalistica sollecita, nei suoi articoli e nei suoi titoli, disprezzo verso le donne e sessismo a questa non possono essere destinati fondi pubblici.
Un’altra piaga che si sta diffondendo, sempre online, è quella del revenge porn. A un anno dall’entrata in vigore del cosiddetto Codice rosso, i numeri ci parlano di un fenomeno purtroppo molto diffuso. Lei, presidente, che bilancio fa di quelle misure?
Abbiamo introdotto il reato di revenge porn ed è stato importante, ma non basta, adesso dobbiamo andare oltre. Io ho una legge pronta e scritta insieme ad esperti – esponenti della Polizia postale, vittime, avvocate e psicologhe – che affronta il tema nella sua complessità. Ad esempio l’assistenza psicologica alle vittime, spesso giovanissime, in preda alla disperazione e che vedono la loro vita sgretolarsi, che hanno bisogno di un sostegno anche dal punto di vista emotivo. E la misura fondamentale della responsabilizzazione delle piattaforme online, che nella mia proposta devono ritirare i filmati, le foto e i materiali non autorizzati entro 24 ore, pena una sostanziosa multa. Penso che sarebbe davvero importantissimo fare in modo che le piattaforme digitali reagiscano in tempo reale in caso di pubblicazione di filmati, foto e materiali legati all’intimità e veicolati senza consenso. Sarei felice se il Pd portasse questa legge all’attenzione del Parlamento, ce lo chiedono decine di migliaia di giovani, come testimoniano le oltre 132mila firme raccolte su change.org dalle associazioni Insieme in Rete, i Sentinelli e Bossy.
Parliamo degli effetti della pandemia. Secondo gli ultimi dati i maltrattamenti in famiglia sono aumentati dell’11% durante il lockdown: si è trattato di un acceleratore del fenomeno, come sostenuto da molti?
Dal 9 marzo al 3 giugno sono state uccise in Italia 44 donne, una ogni due giorni. C’è qualcosa che non funziona in un Paese in cui ogni 15 minuti una donna è maltrattata e dove nel 2018 i femminicidi sono stati 142, e 100 nel 2019. Ed è chiaro che se devi stare tutto il giorno chiusa con il tuo carnefice, il rischio aumenta. Ma dobbiamo ricordare che il 1522 è un’ancora di salvezza per le donne, e che i centri antiviolenza funzionano. Le donne devono sapere che l’accoglienza non si è fermata.
Parlando ancora di violenza fuori dalla Rete, dall’inizio dell’anno i femminicidi sono stati 91, e questo nonostante le campagne e la mobilitazione di tante e tanti. Viene da chiedersi se questo tipo di comunicazione funziona, o se non sarebbe invece più utile puntare su altro. Lei cosa ne pensa?
Le campagne di sensibilizzazione funzionano perché sono un’occasione per parlarne, ma certamente non bastano. Ciò che occorre più di tutto è la formazione, perché bisogna far comprendere nei vari ambiti quanto sia importante il rispetto tra donne e uomini. Bisogna puntare tutto sulla cultura del rispetto, certamente a partire dalle scuole ma anche formando il personale che si occupa di violenza, che deve saperla riconoscere e trattare. Penso ad esempio alle forze dell’ordine, alla magistratura, ai giornalisti, perché in Italia non c’è ancora la piena consapevolezza di quanto il sessismo venga spesso scambiato per goliardia. Così come le molestie e gli apprezzamenti sul luogo di lavoro non sono una lusinga per chi li riceve ma una violazione della sua dignità. Sessismo, violenza, misoginia, non sono ‘normali’, mentre spesso in Italia vengono derubricate a manifestazioni di costume. Il lavoro da fare è quello culturale, a tutti i livelli. Con i bambini nelle scuole, nelle aziende, negli uffici, nei partiti politici, perché non c’è un ambito in cui non sia necessario promuovere la cultura della parità e della uguaglianza di genere.
Per chiudere, ad apparire sempre più fragili in un mondo in cui la violenza assume forme nuove e crudeli sono le bambine e le ragazze. Che messaggio sente di rivolgere loro?
Alle ragazze voglio dire che non ci sono ostacoli a che loro possano arrivare lontano. Ai ragazzi voglio invece dire che sminuire la propria compagna è segno di arretratezza culturale e di egoismo. Non serve fare questo per sentirsi forti, perché chi si comporta in questo modo dimostra solo la propria debolezza. Imparate ad avere un rapporto paritario con le donne e siate compagni consapevoli, attenti, amorosi e capaci di confrontarsi e di accettare i loro rifiuti.