Quante polemiche, moralismo, bigottismo e ipocrisia inutile in questi giorni su Diego Armando Maradona.
Lasciate perdere. Lasciate perdere chi pensa di separare l’uomo dal giocatore e, ancora peggio, chi pensa di dimenticare il giocatore per via dell’uomo.
Non c’è un Maradona uomo e un Maradona calciatore. Certo, questo serve a giornalisti, commentatori e la qualunque per da una parte non cadere nel bigottismo di quelli che “era un drogato” (però poi dei drogati ascoltano musica, ammirano quadri, si inebriano nei loro libri) ma dall’altra con l’effetto di separare ciò che non può essere separato, se non per mera ipocrisia e comodità.
Per me il punto non è solo l’arte del calcio e separarlo da ciò che faceva extra calcio. Penso sia proprio sbagliato. Maradona era quella roba là, perché quella roba là è la merda che mangia chi nasce povero e se la porta dentro tutta la vita. Poi c’è a chi va meglio, a chi va peggio, chi passa il limite oltre ogni immaginazione e chi un po’ meno. Ma Maradona è mito per quello. Perché è uno nato nella polvere, con tutte le contraddizioni che porta, e che ha trasformato quella polvere nel riscatto di tutti quelli che invece non ce la faranno mai.
Maradona rimarrà per sempre qualcosa di più che il miglior giocatore di sempre. E questo a prescindere dalla droga, l’alcol o qualsiasi comportamento sbagliato abbia avuto. Siamo persone, con i loro sbagli, errori, fragilità. E non è per questo che si diventa miti. Ovvio.
Ma Maradona era anche i suoi errori, per questo è diventato mito. Perché la sua persona, la sua storia era ed è – fino al momento di essere e giocare da genio – la storia di milioni di persone che, al contrario suo, non avevano il suo talento e non ce l’hanno fatta.
Ciò che molti non capiscono – perché non ci sono cresciuti, perché fortuna loro hanno avuto una vita migliore, una famiglia serena e tranquilla, pochi problemi economici, le amicizie giuste, perché sono stati più forti, perché rifiutano il proprio passato difficile e si chiudono in ciò che hanno raggiunto, per cinismo, per moralismo, perché semplicemente più forti, perché sono cresciuti in un posto dove non c’era lo stigma della povertà o della camorra – è che Diego Armando Maradona veniva dalla merda, dal fango, dalla povertà. E povertà significa anche ferocia, difficoltà, instabilità.
Io impazzisco quando si parla della povera gente con un mix di paternalismo/buonismo/pietismo. Ecco, vi confido un segreto: la povertà è anche ferocia, fango, melma, ferite, violenza, vessazioni e molto altro. Perché la sera non decidi se mettere la miglior serie tv su Netflix o Xfactor su Sky, ma se ti va bene scappi dal metro quadro della tua casa e corri in strada con un pallone costruito con il cartone.
La povertà è sopravvivenza, a volte dolorosa, e sogno di uscirne al più presto. Non tutti ce la fanno. Anzi. E anche quando ce la fai, ti rimane dentro un vissuto che ha sicuramente facce e momenti indimenticabili, struggenti, infiniti. Ma anche ferite dolorose, a volte poco gestibili per chi le vive da bambino.
E questa roba te la porti dentro tutta la vita, ti rimane dentro come un abisso cui devi stare ogni giorno – anche quando ne sei fuori – attento a non crollarci dentro.
Diego Armando Maradona sarà per sempre perché è uno nato nella polvere, con tutte le contraddizioni che porta, e che ha trasformato quella polvere in ciò che nessuno avrebbe mai immaginato. Traduco brutalmente: lui rappresenta il riscatto assoluto di tutti quelli che invece non ce la faranno mai.
Lui è calcio, poesia, genio. E tutto questo non viene dai campi dorati della capitale di un centro storico, ma dalla polvere di un quartiere povero di periferia.
Napoli, la Campania, l’Argentina, milioni di diseredati, poveri, brutti, sporchi e ultimi si sono immedesimati in lui e a lui hanno concesso di rappresentare ciò che loro non avrebbero mai potuto essere: venire dall’inferno e risalire fino al Paradiso, con il mondo sotto i piedi.
E questo, quando accade tutto questo, puoi vederlo come la copertina patinata di un rotocalco dove viene rappresentata la vita come la vetrina di una macelleria. Oppure puoi provare a capire che dietro quella vetrina c’è un inferno di sbagli, contraddizioni, fragilità, errori.
A volte raccontiamo la storia del povero che ce la fa, sempre come la buona persona che con tanta dedizione riesce ad emergere.
Ecco, Maradona invece ce l’ha fatta con tutte le sue contraddizioni, i suoi errori, i suoi sbagli, le sue fragilità. Per questo è amato e riconosciuto. Perché la povertà non è solo una storia da film di Natale nel quale si diventa ricchi perché si vive sotto un ponte per tutta la vita e poi il vento ti porta il biglietto della lotteria. No, la povertà è anche un tunnel nel quale gli ostacoli, gli imprevisti, gli errori si ripetono uno dietro l’altro per colpa della tua fragilità, di brutte amicizie, di riempire il vuoto che ti porti dentro con la droga o l’alcol.
Ecco, Maradona sta sulle palle a un po’ di gente perché era questa roba qua.
Si chiama vita. Ed è il momento di tornare ad accorgercene prima di pensare che invece sia una foto da influencer in posa su Istangram.
Non so, a volte leggendo questi articoli, mi sembra di capire che dietro ci siano persone che vogliono fare un po’ di sventolamento delle loro capacità retoriche. Non conosco Maradona, non mi interessa il calcio, ma da quel poco che so mi sembra che l’uomo abbia usato la sua vita per farsi i fatti suoi e pararsi il più possibile sul suo palcoscenico. Ci sono milioni di persone nate nella povertà che hanno saputo uscirne e superare i loro difetti e la loro difficile partenza. Ma lo hanno fatto a forza di fatica e lavoro, senza avere la fortuna del talento che Maradona ha avuto. Non lo prenderei proprio ad esempio.
Infatti, non è un modello… ma un mito sì, e lo è per quelle ragioni che l’articolo indica con profondità di conoscenza dell’umanità e della vita
Il nodo è se Maradona (ottimo calciatore, tossicodipendente da cocaina, evasore fiscale alle spalle dei cittadini onesti italiani, amico intimo dei camorristi, osannato perchè segna i goal con le mani) possa o debba debba essere esaltato fino a diventare un esempio per i giovani. Può essere un esempio per riconoscere la fragilità umana e che essere bravo con i piedi non giustifica altri comportamenti antisociali e irregolari. Se il riscatto cui ambire è quello di Maradona, c’è da rimanere esterrefatti. Si può comprendere chi sbaglia, si può perdonare chi imbroglia, ma farne un mito è, a mio modesto parere (di uno che si è speso per l’educazione sportiva e si spende per aiutare i tossici), piuttosto vergognoso
Maradona ha fatto la sua vita, è sicuramente stato bravissimo nel suo settore ( e chi se ne frega), ma ha fatto anche tante cose sbagliate, che credo alla fine abbia pagato con la sua morte solitaria. Il problema è un altro. IL suo divenire un mito(più o meno consapevolmente), non ha portato alcun vantaggio reale, se non una pura illusione, a quelli come lui. Il modello che ha portato avanti è quello del riscatto individuale, cioè esattamente quello che il “padrone” vuole, per evitare la crescita collettiva delle gente, che è l’unica che potrebbe veramente riscattare i poveri e gli umili. Lui si è fatto i suoi interessi, ha fatto da testimonial alla camorra ed ha illuso quelli come lui. A mio parere un saldo decisamente negativo.
Ho letto con interesse l’intervento di Marco Furfaro, sempre lucido ed efficace anche su un argomento non consueto per queste pagine. Condivido in pieno l’assunto che non si possa ‘separare l’uomo dal giocatore e, ancora peggio, chi pensa di dimenticare il giocatore per via dell’uomo’ così come certamente Maradona ‘rappresenta il riscatto assoluto di tutti quelli che invece non ce la faranno mai’.
In questo caso, mi permetto di andare oltre; penso che Maradona abbia rappresentato qualcosa di più che genio e sregolatezza: è probabilmente vero che il saldo della sua vita sia discutibile, così come è discutibile assumerlo come esempio, ma non dobbiamo dimenticare che Maradona aveva il dono (rarissimo) di metterci di fronte al fatto compiuto che ‘ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia’, che penso sia un concetto alla base della cultura ‘popolare’, ed è così che mi spiego la fortissima impressione seguita alla sua scomparsa ed è così che mi piace ricordarlo.
Non sollevo alcun problema sul ricordare questo giocatore per le sue abilità atletiche. Sono invece molto critico sulle valutazioni spropositate del personaggio, cioè della sua intera personalità (doti atletiche + comportamenti umani). In questo caso non si può sorvolare sulla sua vita, a dir poco, sconsiderata, che abbiamo conosciuto quando era in vita. Trovo fortemente diseducativo paragonarlo a un dio o a un genio, come ho letto. Questa enorme attenzione per la sua scomparsa sollevata da stampa e TV deriva dai grossi affari finanziari che sono collegati al calcio. Quindi anche la morte di un giocatore famoso serve a suscitare emozioni pubblicitarie, quindi interesse anche in chi era poco interessato, quindi a reclutare qualche spettatore in più (cioè denaro).